RICONDUZIONE A LUOGHI VIESTANI ALLA BASE DEI POEMI DI OMERO – Rete Gargano

2023-01-05 16:01:11 By : Ms. May peng

Rete Gargano - L'informazione del promontorio

e p.c. alla Giunta Municipale

Comune di Vieste. (Registrato in pari data su Registro protocollo Comunale n° 7953)

Il sottoscritto Professore Giuseppe CALDERISI, nato a Vieste il 01 Febbraio 1943 ed ivi residente in Via Antico Porto Aviane 2d, Vi invia una nuova relazione, da mostrare interamente ad eventuali oppositori, contenente il preciso ordine di successione dei luoghi viestani che hanno ispirato Omero, il poeta più grande del mondo e di tutti i tempi, e che portano a identificare Vieste come sua patria, poichè città che funge da unità di luogo, di tempo e di azione dei suoi poemi e all’origine dei miti greci, con il seguente:

Oggetto: Riconduzione a luoghi viestani alla base dei poemi di Omero. Per l’Iliade Omero è stato ispirato dalle rovine della città ora di Merino, chiamata da questo sommo poeta Troia, o Ilio, nata dopo la distruzione di Dardania avvenuta per mano di Eracle per un diverbio nato da fatti riguardanti il commercio dei cavalli di Troia. Nella piana di Merino infatti vi sono tuttora rovine in parte esplorate di una città sepolta dal fango generato da una remota piena dell’adiacente Canale della Macchia, per un’alluvione di nove giorni, da cui il tuttora non identificato Diluvio Greco, che viene raccontato da Omero dopo l’incendio di Troia da parte degli Achei. La bassa collina, o poggio, chiamato dai Viestani “u Munduncidde”, è lo stesso del sacrario, o altare, o tomba di Myrina di Omero[1] ed è tuttora funzionante come altare di Myrina, ora di S. Maria di Merino. L’omerica Bellacollina ha il nome attuale di “Montincello”, in viestano “u Muntincidde”, cioè un monte piccolo e bello che è lo stesso dell’omerica Bellacollina. Lo Scamandro, con tutti gli affluenti, si identifica con il letto del Canale della Macchia, che dal greco make è: battaglia, luogo di battaglia, sul quale avviene la più cruenta battaglia dell’Iliade. Il nome del viestano Piano della Battaglia proviene dall’omerica pianura sulla quale si combattè poeticamente il resto della guerra di Troia. La spiaggia di Scialmarino, lunga Km 5 è, non solo poeticamente, capace di contenere le duemila navi degli Achei giunti con le loro navi per combattere contro Troia. Tra questi Omero elenca gli Ateniesi, che non sono appartenenti della città di Atene, ma un nome fatto una sola volta da Omero per intendere un popolo seguace di Atena, dea che ha molta parte in entrambi i suoi poemi. Gli Ateniesi di Omero infatti hanno come capo Eretteo, ora definito eroe ateniese, che fu allevato dalla dea Atena da cui gli omerici Ateniesi che nell’Iliade hanno un ruolo di secondo piano riconosciuto anche dagli studiosi. La rocca di Caprareza con sopra il Pergamo di Priamo, la cui presenza già di per sé equivale a una polis omerica, compare sia come una residua Torre segnalata nel 4° sec. a. C. da Seneca[2], sia nel 1200 come “Castellum Marini[3]” che divideva il territorio tra Vieste e Peschici, e sia nel 1780 dal Giuliani[4] che, oltre alcuni reperti archeologici, evidenzia la presenza di un muro scarpato e di una strada per salire sopra Caprareza. Omero scrive che da metà di questa strada e affacciati a questo muro Elena

[2] Seneca (Le Troiane. v. 1068) “Solo una torre è rimasta in piedi della grande Troia, dove Priamo usava recarsi. Da quella vetta e dalla sommità di quei merli, come arbitro della guerra stando in sedute, lui guidava le schiere”.

[3] Alfonso Russi. Relazione di presentazione del libro Atti del Convegno su Uria del 1987.

[4] V. Giuliani. Memorie storiche di Vieste, pag.66: “la distrutta città di Merino .. situata alla sponda del mare verso borea. … Se ne mirano ancora oggi gli avanzi, e su di una collina, che la città riguardava a prospetto del mare, rimangono pubbliche mura, segni di un’antica fortezza, nella cui sommità, incavate in duro macigno, si mirano tre cisterne unite, una più sollevata dell’altra, avendo l’una coll’altra un picciolo canale. Ai lati di essa collina, a traverso su viva pietra … persistono ben anche vestigie di comoda strada, dal tempo rovinata, che dalla città su la rocca conducea”.

identifica a Priamo i principali eroi Achei. Alla base di questa strada nascono le omeriche Porte Scee[1], o di sinistra, da cui il conseguente territorio occidentale che iniziava da Troia. Caprareza è un toponimo di origine greca proveniente dalla fusione di capra(ina): troia, proveniente dal verbo capra(ò). l’essere innamorato in calore, o troia; con il reza finale che proviene dal greco rezò che significa: sacrifico, offro in sacrificio. Caprareza in definitiva indica una “Troia data in sacrificio, o sacrificata” da intendersi anche come capro (gr. caprio) espiatorio, usato nella fondazione di diverse città. Un fatto già considerato da Omero nell’Odissea. Forse per il poetico passaggio di popoli che presero il nome da una qualche caratteristica di Vieste che come porto di approdo (greco cellò) ha dato origine al nome dei Celtici che si diffusero in tutta l’Europa, come pure dei biblici Citei, o Cittei, la cui capitale è Cyta, altro antico nome di Vieste. I Cittei prendono il nome dalla vallata o da una coppa per bere, un ciato, cioè un recipiente per attingere acqua contenuto nei greci cytos, da cui Cyta e i suoi Cytei, o Cyttei, detti anche Pugliesi. I Cyttei, oltre che da cytos possono derivare pure dal suo omologo cyathos, presente in Vieste e di cui si dirà di più in seguito. In epoca postomerica dai Viestani Cyttei hanno avuto origine nomi di città italiane (Roma, Napoli) ed europee (Troianova per Londra, e Parigi da Paris, l’omerico Paride) con lo scopo di glorificare i loro popoli imparentandosi con il viestano Omero. Per questo basta leggere ciò che ha scritto Seneca su Uria, cioè Vieste, dalla quale passarono tutti i popoli italiani ed europei.

Le fonti[6] scrivono: “Da due millenni e mezzo si affronta e ci si chiede chi fosse Omero, se sia proprio vissuto, e quando e dove; questa disputa non sarebbe neppure stata possibile se i poemi stessi ci avessero offerto un chiaro sistema di coordinate“. Invece, ciò che scrive Omero nelle sue poesie di grandi dimensioni diventa incomprensibile solo se si continua a identificare l’Ellesponto con il Bosforo e Troia a Hissarlik, tant’è vero che per gli Accademici[7] Troia era un luogo di mera fantasia che nel 1860 il commerciante di oro di seconda mano, poi archeologo dilettante Schliemann ha creduto, contribuendo a ingannare tutti, di trovare nella paludosa pianura di Hissarlik, sconfessando la più antica designazione a Bunarbashi, ma a sua volta sconfessato dagli scritti di Omero e dallo stesso sprovveduto speculatore Schliemann, che in realtà ha acquistato una collina destinata alla remota cremazione di cadaveri, spacciandola per Troia.

La colpa è da addebitare al comportamento degli antichi abitanti dell’attuale Grecia che si sono erroneamente impossessati dell’Ellesponto di Omero chiamandolo Stretto di Dardanelli (da Dardania, l’antica Troia distrutta dall’omerico Eracle) finendo in un primo tempo per fissare l’omerica Troia a Burnabashi. Lo stesso è avvenuto per il monte Olimpo omerico che in effetti è uno dei monti Viestani (Il Monte Sacro del Gargano sul quale ci sono rovine di un remoto tempio, o anche la collina della Chiesiola, in quanto piccolo luogo di assemblee, o di adunanze, sulla quale c’erano ancora le fondamenta di una costruzione seppellita con la realizzazione di una vera strada nel 1974) sui quali pure gli dei potevano riunirsi in concilio. E poi dando nomi di origine omerica ad alcune città come Argo (dalla quale gli Argivi dato agli Achei), Micene, l’isola di Creta e altre. Tuttora ben sette città dell’attuale Grecia si vantano simultaneamente di essere la patria di Omero quando invece si tratta di un cittadino Italiano, anzi Viestano. Lo stesso è avvenuto per Atlantide, un continente che ha come città di origine Vieste in quanto Pizzomunno e che è lo stesso dell’attuale Europa che per significato è uguale a quello del continente Apeira di Omero, ma che venne identificato dagli stessi antichi abitanti dell’attuale Grecia con la loro Isola di Santorini. Contrariamente a quanto affermato dalle fonti e se si tiene conto dei versi dell’Iliade per individuare la vera posizione di Troia, Omero disegna continuamente tratti di precise coordinate geografiche

[5] V. Giuliani. Ivi “sebbene è rivolta verso borea, col maggior suo sito al pendio della collina riguardava l’Oriente e il Mezzogiorno” da cui il passaggio verso l’Occidente, la sinistra (le omeriche Scee, gr. scaiai) del restante territorio.

[7] A. Morelli. Dei e Miti, v. Troia.

che portano a localizzare Troia in una realtà mai considerata prima in tutto il mondo greco e moderno, ma da situare nella Magna (grande, soprattutto antica) Grecia, appellativo che proviene dall’Antica Greca, precisamente dalla remota città di Vieste, anche se ora è un nome esteso a tutta l’Italia meridionale. Nei suoi versi, infatti, Omero di Troia tramanda un’identità territoriale assoluta, con una memoria che si è conservata nella realtà, nei nomi e nei toponimi dei luoghi viestani, e con un’identità geografica relativa a una città che fondamentalmente si affaccia sul mare verso Oriente in posizione frontale all’omerica Tracia, la penisola balcanica.

Al contrario di quanto affermato dagli studiosi e oltre la realtà dei precedenti luoghi di Troia a Vieste, i poemi omerici sono pieni di indizi dai quali si ricavano le precise coordinate geografiche che portano Troia, l’Ellesponto e tutti i luoghi dell’Odissea a Vieste con i passaggi seguenti:

1- L’adirato Achille minaccia il ritorno in patria, facendo tre giorni di navigazione verso l’Aurora, cioè sul mare verso Oriente[8]: “tu vedrai, se vorrai, se te ne importa qualcosa, sull’Ellesponto pescoso navigare all’aurora le mie navi, e dentro uomini ardenti a remare; e se il buon viaggio ci dona l’Ennosìgeo glorioso, al terzo giorno saremo a Ftia fertile zolla“. Da questi versi si ricava che Vieste, nome greco che da Ui-este è figlia dell’Oriente, è una città che si trova sul mare sul lato occidentale dell’Ellesponto, che da Ellès significa: dell’Est, cioè orientale; pontos è un sentiero del mare alto e aperto, cioè un sentiero nel mare alto e aperto che conduce a Est, cioè a Oriente, che di fatto esclude il canale stretto da due terre dell’attuale Bosforo.

2- Omero[9] conferma questa realtà geografica scrivendo: “Acàmante e Pìroo guidavano i Traci, quelli che l’Ellesponto flutto gagliardo chiude”, versi che con il punto primo chiariscono in modo definitivo la vera posizione di Troia. La predetta Ftia, patria di Achille, è una città della Tracia, l’attuale penisola balcanica, che non è lo stesso dell’attualmente identificata come un’isola della Grecia nord occidentale, che se fosse verità riporterebbe l’Ellesponto nel Mare Ionio, mentre ora l’Ellesponto si trova a Sud-Ovest dell’attuale Grecia, nel Mar Egeo. La regione della Tracia detta pure Illyria, nome che dal greco illo-yria indica una regione che si trova di fronte all’omerica città di Yria, ora Vieste che si affaccia a Oriente sul mare (ora Adriatico), chiudendo quello che Omero definisce questa rotta marittima uno stretto braccio del largo mare attibuendogli il nome di Ellesponto. I remoti abitanti della attuale Grecia hanno situato l’Ellesponto sul Bosforo che è invece un canale marittimo stretto da due terre. Un dato di fatto che contrasta con quanto precisato da Omero e che si ricava nel significato di Ellesponto, che quindi ha sul mare di fronte il lato occidentale della Tracia sulla quale posizionare Ftia. Il nome inventato da Omero per Achille, che da akis, punta, e ille dal greco illò è: di fronte, con il risultato di “di fronte alla punta” che è contenuto pure nel nome della successiva Illyria dalla quale poeticamente proveniva Achille. I nomi Achille, di fronte alla punta, e l’Illyria, che da illò: di fronte; Yria è l’omerica Yria, sono nomi che derivano dal fatto che si trovano di fronte a Troia, perciò di fronte alla punta del Gargano sulla quale è da posizionare l’Yria di Omero, città che col nome Yria venne fondata pure da diversi naviganti e poi passato per 6 lunghi secoli a Vieste. La stessa invenzione avviene con altri personaggi omerici come Aga-memnone (= guida testarda) come lo è stato nel far continuare testardamente la guerra di Troia; Menelao equivale a Luna-pietra cioè pietra di Luna; Odisseo, perché odiato, in particolare da Poseidone, detto pure Ulisse per la ferita a un ginocchio provocata da una zanna di un cinghiale in una battuta di caccia quando era giovane. Aiace Telamonio da cui il telamone, l’angolo, il pizzo di Pizzomunno, l’atlante del Continente Atlantide di Platone, che è lo stesso dell’Europa di Erodoto, nomi che hanno origine dal continente Apeira di Omero. 3- Il sole che sorge dal mare, quindi a Oriente, si vede sia quando Teti giunge dall’Illiria sulla spiaggia troiana con le nuove armi di Achille[10]: “L’aurora peplo di croco dalle correnti d’Oceano

balzò a portare la luce agli immortali e ai mortali e Teti giunse alle navi“, Teti giunge quindi alla spiaggia troiana, ora Scialmarino; sia quando i Greci bruciano i resti di Patroclo sulla spiaggia troiana[11]: “Quando Lucifero esce ad annunziare la luce alla terra e dietro si stende sul mare l’Aurora peplo di croco allora si esaurì il rogo e cadde la fiamma”. Lucifero (= portatore di luce; poi Venere) e l’Aurora sorgono quindi dal mare che si trova inevitabilmente a Oriente della spiaggia troiana. Un fatto che è incompatibile sia con la posizione geografica di Hissarlik, che si trova a Nord-Ovest della Turchia, come pure con quella di Burnabashi, località situata sul Bosforo a distanza di Km 65 a Est di Hissarlik; sia per l’attuale inclinazione del Bosforo da Est verso SudEst che, essendo un canale tra due terre ha sul lato orientale il Mar Nero e non l’omerica Tracia, non permette di vedere il sole che nasce dal largo mare, che Omero altre volte chiama Oceano.

4- La suddetta posizione geografica di Troia si ricava anche dal fatto che il suo orizzonte marino si estende dall’Oriente all’Occidente. Infatti, nel raccontare la tregua stabilita da Greci e Troiani per recuperare i rispettivi caduti, Omero scrive che i Greci e i Troiani vedono il sole che sorge dal mare all’inizio delle operazioni[12]: “E mentre il sole nuovo colpiva le campagne, su dal profondo Oceano che scorre quietamente salendo verso il cielo, s’incontrarono essi”; e il sole che tramonta nello stesso mare alla fine delle operazioni[13]: “E il lucido raggio di sole calò nell’Oceano la notte nera traendo sopra la terra”. Il sole che sale dall’Oceano verso il cielo e che cala nello stesso Oceano è visibile da Vieste in buona parte dell’anno.

5- La posizione viestana di Troia che guarda l’orizzonte del mare da Oriente a Occidente, passando per il Nord, è confermata nella descrizione di Omero del nuovo scudo di Achille[14]: “Vi fece la terra, il cielo e il mare, l’infaticabile sole e la luna piena, e tutti quanti i segni che incoronano il cielo, le Pleiadi, l’Iadi e la forza d’Orione e l’Orsa, che chiamano col nome di Carro: ella gira sopra se stessa e guarda Orione, e sola non ha parte nei lavacri d’Oceano”. Con questi versi Omero, un vedente e geniale uomo, rivela la sua posizione sulla Terra rispetto alla corona di un cielo che spazia dal nord celeste, identificato con la costellazione boreale dell’Orsa, delle Pleiadi e delle Iadi, che insieme formano il Toro. Cioè la costellazione che indica il nord, o Settentrione (nome che proviene dalle sette (lat. septem) stelle del Toro (lat. trio-ones), fino all’equatore celeste che si identifica con Orione. Orione è la costellazione equatoriale (o meglio meridionale), che si estende a sud del Toro. In particolare il verso sull’Orsa che “sola non ha parte nei lavacri d’Oceano” indica che il Carro dell’Orsa non si abbassa mai sotto l’orizzonte del mare che si estende a nord di Troia, confermando indirettamente i precedenti versi anche sul sole che sorge dallo stesso Oceano. L’omerico Oceano è tutto il mare che si trova di fronte a Vieste, città di divisione omerica e tolemaica del Golfo Adriatico e il Mare Ionio, tra i quali inserire la rotta che Omero chiama Ellesponto. Quanto a Orione, accecato da una sbornia, per ritrovare la vista perduta percorre il territorio garganico per incontrare la sua amata Aurora creando il porto naturale del Pantanella viestano con l’ultima pedata messa all’estremità del promontorio. Anche per questo il Monte Gargano venne identificato dagli antichi come Monte Orione (Scilace di Carianda).

6- Tutto il precedente contesto geografico di Troia che guarda il mare da est a nordovest passando per il nord, oltre il quale mare c’è la Tracia, emerge pure dalla direzione dei venti citati da Omero[15]: Zefiro, vento di nord-ovest, e Bora, vento del nord, i quali: “soffiano questi di Tracia, improvvisi e subito l’onda nera si gonfia e sputa lungo la riva molte alghe“. L’Euro, vento dell’est proveniente dal mare e dall’Oriente, praticamente dalla Tracia, è ai Viestani più noto col nome di Grecale, vento che precisamente spira dal punto dove il sole sorge il giorno 21 giugno, esattamente da dietro la punta settentrionale dello Scoglio viestano, considerando che in origine il termine greco

identificava “tutto ciò che si trova sul percorso del sole nel giorno del solstizio d’estate, tutto il resto è barbaro”, un fatto che esclude la provenienza del termine greco dall’attuale Grecia. Per necessaria conseguenza la direzione est/ovest del Grecale o dell’omerico Euro coincide anche con quella inversa dell’Ellesponto omerico minacciata da Achille.

7- Una maggiore estensione dell’orizzonte marino da nord-ovest a sud-sudest, considerato da Omero e valevole pure per la posizione geografica di Troia, si deduce dallo scontro tra due venti contrari, lo Zefiro (Maestrale), che proviene dalla Tracia e dal mare da nord-ovest, e il Noto (Scirocco anche Levante), che proviene dal mare e da sud-est della stessa Tracia. Omero[16] infatti scrive: “come talvolta Zefiro s’urta contro le nubi del biancheggiante Noto, con raffica fonda colpendole, e s’arrovescia continuo il flutto gonfio, alto la schiuma spruzza, sotto la sferza del vento errabondo, fitte così sotto Ettore cadevano le teste del popolo”.

Una volta precisate parzialmente le coordinate geografiche di Troia, lo scrivente aggiunge che il Regno dei Morti citato da Omero in  due occasioni dell’Odissea si trova tuttora in territorio di Vieste e precisamente in adiacenza della spiaggia di Merino, detta di Scialmarino, in località denominata Necropoli della Salata. Infatti, al limite sul mare di questa necropoli tuttora sgorgano tre sorgenti d’acqua di natura carsica, che lo scrivente qui elenca nell’ordine di provenienza, quindi in modalità inversa a quella descritta da Omero nell’Odissea: l’acqua dello Stige che confluisce in quella del Cocìto dando vita a un unico ruscello che poi riceve acqua dal Piriflegetonte, che sgorga alla radice di una roccia bianca che diventa pure il punto di divisione di questi ultimi due fiumi, dalla cui immediata confluenza nasce il terminale fiume Acheronte che sfocia in mare a Scialmarino, la spiaggia di Troia. Omero dà prova di essere perfettamente udente e vedente quando definisce questi fiumi sonanti, rumore provocato dal loro sgorgare dalle vicine gole e dalla loro confluenza cui si aggiunge quello delle onde del mare che terminano la loro corsa sulla vicina spiaggia di Troia, la stessa di Scialmarino. Omero sintetizza magistralmente il Regno dei Morti scrivendo: “Qui in Acheronte il Piriflegentonte si getta e il Cocito, ch’è un braccio dell’acqua di Stige, e c’è una roccia, all’unione dei due fiumi sonanti”. A tutto questo lo scrivente aggiunge che tutti i porti dell’Odissea sono ispirati a Omero sempre e soltanto dai due remoti porti di Vieste, in particolare il Pantanella situato a Occidente del Montarone, l’altro porto che Omero descrive come piccola rupe grandi flutti trattiene, esisteva a Oriente del Montarone. Il Montarone è un toponimo formato dalla fusione degli etimi greci Moun-taur(o)-one col significato di “peduncolo isolato ma non distaccato dalla forma di un toro possente, o di un solitario toro possente, o di un monade toro possente”, significati che al maschile conducono ai rappresentati come cornuti Zeus e Poseidone. Mentre dalla radice mon(ios) del Montarone, al maschile conduce a un cinghiale, al femminile a una troia solitaria o monade, possente: un fatto che spiega il dualismo della distruzione con la stessa modalità della omerica Troia e della garganica Uria, entrambe scomparse in una notte e un giorno come altre isole, anche di dimensioni continentali come Atlantide, ma tutte località facenti capo al Montarone in quanto già Troia e Uria. Le tracce di questi due porti viestani sono state del tutto distrutte dall’espansione della città di Vieste. Il Pantanella, il porto più considerato da Omero, è un toponimo di origine greca proveniente dalla fusione di panta-né(a)-èl(os)-là(as) che significa: tutto nave caviglia/puntello/ approdo rupe, ovvero: una rupe tutto navale approdo/puntello/caviglia, da intendersi come attrezzo di legno per tenere dritte le navi tratte in secca. Ed è un porto con all’interno una corrente d’acqua dolce, tuttora esistente, che insieme compaiono in quasi tutti i porti dell’Odissea. Infatti, oltre a dare prova della evidente viestanità di Omero, il porto del Pantanella compare nel codice Hamilton del sec. XIII (anni 1200) che a pag. 29 nel paragrafo dedicato a <Lo Monte SanctoAngelo> presenta il porto di Vieste come Bestij: <Del Monte SanctoAngelo e Bestij, che è en capo de lo dicto monte da ver greco, V millara. Bestij è bom porto”. Il V miliaria (= km 8,750) è la reale distanza tra la punta

della Testa del Gargano e Vieste. Il “ver greco” è da intendere l’esposizione verso il Greco, cioè verso l’Oriente estivo, direzione reale del detto monte, il Gargano, e del suo capo, il Montarone sul quale è situata Bestij. L’esposizione verso greco di Bestij convalida l’uso corretto del termine greco che vale per la Magna (= antica) Greca, cioè Vieste, da cui la Magna (= antica) Grecia, ma che di fatto esclude la provenienza del Greco dall’attuale Grecia. Il vento di greco, o grecale, che Omero chiama Euro, proviene dalla Tracia frontalmente al Montarone viestano esattamente dal punto in cui sorge il Sole il giorno del solstizio d’Estate, cioè da dietro la punta settentrionale dello Scoglio, situazione da cui nasce il nome Vieste, figlia dell’Oriente come pure figlia Greca. In mezzo ai due corni del Montarone c’è una spiaggetta, ora detta di Marina Piccola, che durante l’adolescenza dello scrivente veniva chiamata “U Riante”, nome che da ri(s)-ante in primo luogo è riferito a un sito opposto a ciò che è orientale, come è nella realtà. In secondo luogo potrebbe provenire dalla fusione di due etimi greci ri(s)-anto(lie) che conduce: sia a un canale, generato dalla particolare orografia interna del Montarone le cui acque piovane anticamente confluivano in un canale creato dalla pendenza centrale di una strada viestana di epoca murattiana detta “strada del canale”, l’attuale via Apeneste; sia alla predetta sporgenza della terra rivolta, opposta, di fronte all’Oriente, poichè per direzione questa spiaggia è esposta all’Est, al greco, all’oriente, all’antichità, all’eternità, all’immortalità, all’origine immutabile del sole e della vita. Anche perchè con questa corsa verso Oriente del Gargano e del Montarone, la città di Vieste si presentava realmente e idealmente ai supplici del mare per soccorrerli, facendola diventare una remota città santa, comunque divina. La dimostrazione di ciò viene data sia dai fatti narrati da Omero sul sacrario di Myrina davanti la città di Troia, funzione inalterata di questo altare, tomba, sacrario che si trova tuttora davanti la città rovinata di Merino come pure per quanto scrive lo stesso Omero di Scheria, città isolata in mezzo al mare in cui gli dei si presentavano visibili. Sia dal remoto nome di Vieste inneggiante alla dea sempre vergine Estia, poi Vesta, a cui era dedicata la sua attuale Cattedrale: oltre il focolare, il greco Estia indica pure un altare, un sacrario, un santuario da riferirsi a quello dell’omerica Myrina, come pure alla remota Cattedrale di Vieste. Sia dalla funzione di Vieste come Porta della Gran Madre Terra presente in una iscrizione su pietra alla dea Demetra interpretata asetticamente dal Petrone. Sia per la destinazione a Vieste del Sanctum Idaliumcitato da Catullo, un riferimento al Monte Ida ricco di vene, luogo di amore e di reciproci inganni di Zeus ed Era di cui scrive Omero: monte Ida ora individuato erroneamente come monte della Misia, i cui Misii per alcuni sono abitanti di una regione dell’Asia Minore per altri di una regione della Tracia. Il Santo Idalio compare con gli Uri Aperti del Gargano. Aperti è un appellativo dei Viestani perchè aperti sul mare e veneratori di Venere Sosandra, cioè soccorritrice, soprattutto dei naviganti del mare. Il nome Monte SantoAngelo, ora passato per più recenti motivi religiosi a Montesantangelo, città che in realtà è situata sulla coda, a Occidente del Monte Gargano che di fatto non si annuncia né verso il mare, né verso il Sole nascente, né verso il vento di Greco che i Montanari identificano tuttora come il “Vento di Vieste”. Il Monte Gargano ha come apice Vieste, definita “bom porto”, cioè un buon sito portuale che si annuncia (aggello, leggi angello da cui l’angelo del Monte SantoAngelo) verso il mare e verso il vento, il Greco, che insieme con il Sole sorgono dalla Tracia. Da cui il significato di figlia Greca, o dell’Oriente di Vieste, dentro il cui porto naturale, il Pantanella, usato da Omero per scrivere l’Odissea, giunsero numerosi supplici e sventurati naufraghi del mare, tra i quali il più volte transitato in questo porto Odisseo, odiato da Poseidone.

Il portolano Magliabecchi nel 1420 scrive: “Dal monte sancto Angniolo al monte allisola bestia 25 miglia quarta di ponente ver maestro. lisola e buon surgitoio e puoi entrare da ponente (e da leuante) e puoi stare a anchora e prodese alli pali”. Da rilevare l’esposizione dell’isola bestia verso ponente, il corno di S. Francesco, ver maestro, il Maestrale, il corno della Mancina; la presenza dell’altro “monte allisola bestia” è un riferimento all’isolato Montarone su cui sorge il centro storico di Vieste, città che il Magliabecchi identifica anche come isola, già presente in Omero; il buon surgitoio interessa la corrente del porto del Pantanella e le correnti che tuttora scorrono sui litorali del Montarone dell’isola Vieste sulla quale c’è l’effettiva presenza di due porti: uno a Ponente, a Ovest del Montarone, il Pantanella; l’altro a Levante, a Est del Montarone dove c’era l’omerica “piccola roccia grandi flutti trattiene”.

Il portolano Rizo nel 1490 scrive: “Bestie e cita e sia per tramontana do ixole che li fa porto. la sua intrada si e di leuante e perche la bocha da ponente e pizola et iui per esserui picol fondi usa grandissima chorente de aque pero darai li prodexi in terra ale ixole e le anchore in fondi verso la terra”. L’orientamento verso la tramontana, che vale soprattutto per la direzione Sud-Nord dello Scoglio viestano, valevole per l’omerica Bora, che giunge a Vieste da 0° latitudine Nord, è anche dovuta alla vastità della vista marittima di cui godono i Viestani. Oltre le due isole della città di Bestie c’è da considerare sia la grandissima corrente di acque da usare per far entrare (e uscire) le navi di poppa nella piccola bocca di Ponente, quindi nel Pantanella, sia le do ixole che li fa porto, che significa che oltre le due isole, lo Scoglio e l’isolato Montarone, ci sono pure due porti (li fa). Il secondo porto, di Ponente, con piccola bocca e già di poca profondità, e con la corrente d’acqua da usare per l’entrata (e l’uscita) di poppa è un riferimento al Pantanella e al canale per trarre le navi da e per il mare contenuto nel greco òuròs da cui uno dei motivi del nome Uria per Vieste. Il primo porto del Rizo si trovava a Levante, cioè a Est, sul fianco destro, orientale dell’isolato Montarone.

Nel Codice Diplomatico del Monastero Benedettino di S. Maria di Tremiti si legge che: “nel 1155 la Chiesa di S. Lorenzo è fondata sulla punta medesima sopra il porto Aviane, che si trova dalla parte dove si vede la punta della chiesa rupestre di S. Eugenia (Petrucci)”, poi rupe di S. Croce. Laicamente la punta della Banchina, la cui parte orientale viene detta pure la Mancine, la sinistra, da cui origina il mare occidentale, il Golfo Adriatico, detto dai Viestani “Acque de Fore”, Acque di Fuori (mano, cioè la sinistra), in contrapposizione al Mère Granne, il Mare Grande, il Mare Ionio, che anticamente originava a destra, a Oriente del corno di (S.) Francesco, detto pure “Drète u Trione”, Dietro il Trione, che dal latino trio conferma il toro presente nel Montaurone. Il nome Aviane è di origine greca proveniente da auò, latino uro: lamento, e anò: il più alto, che in definitiva richiama l’alto lamento, che fa parte del monumento del Timavo sull’isola Teuthria, emesso dagli uccelli che si consumano (greco euò, latino uro) di dolore in onore di Diomede dopo la sua morte e il suo seppellimento sullo Scoglio. Come pure il lamento più alto che, trovandosi il Montarone come l’omerica Scheria in mare forte e alto, viene provocato dal movimento delle alte onde marine (gr. methyo, da cui i Viestani come Methynnates ex Gargano di Plinio; poi latino aestus contenuto in Vestysane) che sbattono contro le fessure della falesia del Montarone, rimbombando. Dal latino uro presente in auò (ed euò) e all’origine di Aviane si scorge un altro dei motivi che portano all’identità di Uria con Vieste derivante dalla primitiva bruciatura, o incendio, dell’omerica Troia. 

Plinio, che cita i luoghi in ordine alfabetico, scrive: “di qui l’Apulia dei Dauni, dal nome del duce suocero di Diomede, in cui la città di Salapia ..: Siponto Uria .., Porto Aggasus, la punta del Monte Gargano, che dista 234 miglia dal Salento o Japigo, comprendendo in questa distanza il periplo del Gargano, il porto Garnae, il lago Pantano ..”. Il porto Aggasus (dai greci aggos e aggeion) diventa un porto letto di mare che è lo stesso di un porto di riposo per navi, il Pantanella, situato alla punta (il Montarone) del Monte Gargano. Dal porto viestano come Aggasus ha origine il nome dell’antico popolo italico degli Angesi (aggaisioi) di Licofrone (3° sec. a.C.). Il porto Garnae (= perché navale) indica Vieste come sito portuale riferito ai suoi due porti. Il lago Pantano è in primo luogo da identificare con il porto del Pantanella munito di corrente d’acqua buona, che in una rivista per architetti veniva indicato come “lago della Vittoria”, stato d’animo di chi riusciva a giungere via mare in questo porto. La vittoria è presente nel nome dell’attuale grotta di (S.) Nicola che ancora nel 1600 si trovava adiacente il mare (Mascio Ferracuti). Nicola è un nome di origine greca che proviene dalla fusione di nike = vittoria, e laas = rupe. In secondo luogo il lago Pantano citato da Plinio può essere identificato con il viestano lago Pantano, da tempo disseccato, ma che ancora nel 1780 si trovava nella piana di Merino ricordato insieme con il Pantanella dal Giuliani[17].

Virgilio[18] del porto di sbarco di Enea, altro fondatore di Vieste col nome Troia, scrive di: “un porto che si curva ad arco verso l’onda orientale, con gli scogli avanzanti che grondano spuma e spruzzi salmastri, ma esso è al riparo: in doppio bastione allungano i bracci le rupi turrite e il tempio, dedicato a Minerva, arretra da riva comparendo sulla vetta“, Gli scogli avanzanti con il doppio bastione e suoi bracci sono i due corni del Montarone situati all’estremità del Pantanella, un porto che realmente si apre verso Oriente. In vetta alle rupi turrite del Montarone c’è la basilica viestana, secondo il Bacco[19] edificata sulle rovine dell’antico tempio di Vesta. Vesta, oltre che con Estia, santuario, lo stesso di tempio, si sincretizza con Minerva per la loro verginità che coinvolge la personificazione di Vieste con la greca Oria, una fanciulla matura ma mai sposata.

P. Mela individua il porto viestano con alcune particolarità, scrivendo: “ e il Monte Gargano: è un seno incinto dalla continuità del litorale apulo, di nome Uria, con un’entrata stretta e per lo più tormentata (asper accessu). Fuori Siponto”. Il seno incinto con l’entrata stretta equivale all’alveo con canale per trarre le navi da e per il mare presente nel greco ouros da cui Uria. L’entrata stretta e di accesso difficile di questo porto coincidono parzialmente con i racconti del porto di Ponente, o occidentale del Rizo, del Magliabecchi e dalla realtà del Pantanella. Se la risoluzione della viestanità di Omero nell’Iliade parte dalla sua citazione al poggio altare di Myrina[20], quella dell’Odissea è presente laddove Omero dei Feaci per bocca di Nausicaa dice ad Odisseo[21]: “perchè noi siam molto cari agli immortali. Abitiamo lontano, in mezzo al mare dal molto sciabordio delle onde, all’estremo confine, e non ci sono altre genti che abbiano contatto con noi”. Altri[22] traducono questo passo: “perchè noi siam molto cari agli dèi. Viviamo in disparte, nel mare flutti infiniti, lontani, e nessuno viene fra noi degli altri mortali”. Ma dalle parole[23] chiavi, di questo passo è possibile fare una traduzione alla lettera dei citati versi con: “perchè noi siamo diletti[24] discendenti degli eterni padri. Viviamo addentrati[25] nel molto agitato (forte)[26] mare alto ed aperto[27], all’estremo limite della regione (o della terra), e non abbiamo contatti[28] con il

[17] V. Giuliani: Memorie storiche di Vieste, pag. 50: “Ne’ laghi di Pantano si hanno ben grossi cefali, e nel lago di Pantanino (il Pantanella) si prendono alcuni piccoli pesci, simili a quelli che si pescano nel lago Fucino, detti antichi, quali dandosi da mangiare ai gatti, questi muoiono”.

[19] Enrico Bacco. Regno di Napoli diviso in Dodici Province. Napoli 1618.

[21] Odissea. ediz. Classici Edipem. Firenze: VI, 203-205,

[23] Il testo greco del passo è: mala gàr filoi athanàtoisin oìceomen d’apaneithe polyclysto eni ponto, escatoi, oyde tis ammi broton epimisyetai allos. Le parole chiavi sono” oiceomen: relazione di parentela; filoi: diletti in quanto figli; discendenti; athanàtoisin: immortale, eterno; Apaneithe (ap-aneneiqe): lontano, separatamente; polyclysto: in alto mare, nel mare molto battuto dai flutti, molto agitato, nel molto sciabordio del mare; eni: addentrati, solitari; ponto: mare alto e aperto; escatoi: ultimi, i più remoti degli uomini: nello spazio e nel tempo; epimisyetai: non ho relazione.

[24] I viestani e i Pugliesi chiamano il papà col greco “attèn o attan”, come avviene per gli Atinati, per cui non è malvagia l’idea di considerare il significato di Padri Immortali con questo termine. Atha in aramaico è il venire, il discendere.

[25] Eni: identico al significato di mono del Montarone.

[26]  Polyclysto (polu-clustw  da clyzo – cluzw): molto agitato, mare; battuto dalle onde. Fermo restando il significato di poly per molto, clyzo: batto coi flutti, bagno, inondo, sollevo flutti; e del flutto: infrangersi, imperversare; passivo: sono bagnato; del mare: sollevarsi, agitarsi; 2- lavo, risciacquo, forbisco, purgo. Il termine sciabordio viene preferito in quanto oltre a trovare analogia con l’oyria in quanto flutti, mare, esprime bene lo sbattere della corrente del mare da una parte e dall’altra dellaprua di una nave. Il termine polyclisto trova in alcuni significati il corrispettivo latino “aestus”.  Anche gli altri significati di risciacquo, lavo e purgo, che sono presenti nel nome Gattarella attribuito anticamente a un sito viestano, trovano riscontro negli antichi nomi di Vieste, quali Uria e Troylla..

[28] Pontos: mare, specialmente alto e aperto; indeur. panthah, latino pons-tis: sentiero. Significato analogo di Yria.

commercio degli uomini”. Oltre la discendenza dei Feaci dagli dei, poiché Nausitoo, figlio di Poseidone, per sfuggire alla cattiveria dei vicini Ciclopi, una volta approdato nel porto (il Pantanella) adiacente il Montarone ha fondato Scheria, tutto il resto coincide con la posizione geografica dell’isolato in mezzo al mare, quindi non una vera isola quale è il Montarone, che oltre il suo addentramento nel mare forte e alto da questi versi diventa, come per Troia e per il porto Aviane, anche uno dei due capi del sentiero del mare alto e aperto dell’omerico Ellesponto; l’essere Scheria l’estremo limite della regione, o della terra (omerica!) equivale all’essere Vieste il Pizzomunno, il Pizzo del Mondo. Mentre la molta agitazione nel mare alto e aperto si trova nel greco methyo dei Methynnates ex Gargano di Plinio nei panni dei Viestani, nel latino aestus contenuto in Vestysane e nell’andare in bestia dei Viestani da cui il titolo di isola Bestia attribuito a Vieste in periodo medievale. Il nome Scheria proviene dalla funzione di “approdo” dei porti di questa città derivante dall’indeuropeo sker presente nel greco scheripto. Omero per bocca di Nausicaa aggiunge: “Ma come in vista della città arriveremo – un muro alto, e bello ai lati della città s’apre un porto, ma stretta è l’entrata” e all’arrivo di Nausica con Odisseo, Omero prosegue: “Guardava ammirato Odisseo i porti, le navi equilibrate, le lunghe mura, eccelse, munite di palizzata, meraviglia a vederle”. I porti (due) che si aprono ai lati della città (Scheria) e l’entrata stretta del principale porto come pure della città coincidono sia con l’entrata stretta del porto del Pantanella, sia con l’entrata stretta della città (ora Vieste) la cui porta principale e le lunghe mura munite di palizzata si trovavano sull’istmo, a monte del Montarone. Le navi equilibrate, con l’uso di caviglie di legno presente in elos, penultima sillaba del Panta-ne(as)-el(os)-la(as), contribuisce all’origine del nome Scheria. L’altro porto viene descritto da Omero come “piccola roccia grandi flutti trattiene”, roccia che fino all’anno 2000 si trovava a Levante, cioè sul lato orientale del Montarone. Del ritrovamento a Vieste dell’omerico muro alto e bello perché fatti di grandi blocchi di pietra squadrati “di palmi sette di lunghezza, di palmi 4 di larghezza e di palmi 2 di spessore” vi è notizia nel Pisani (1664-1700), di mura munite anche di palizzata e di un ponte all’entrata della città vengono evidenziati dal Giuliani (1780) alle quali si aggiungono quelli trattati da T. Masanotti (1840). Parte di questi grandi blocchi di pietra sono ultimamente (1990!) emersi negli scavi delle fondamenta per l’ampliamento dell’Hotel Mediterraneo sul cui fianco sono ora diligentemente accatastati. Scheria si identifica con Vieste anche per la creazione di Poseidone di forti e alte rupi tutto intorno la città, da riferirsi al perimetro del Montarone; per la falesia generata dallo stesso Poseidone con un colpo di tridente che provoca la morte del mentitore Aiace Oileo. A questi fatti si aggiunge l’affondamento e la pietrificazione della nave (lo Scoglio) dei Feaci con una manata di Poseidone al poetico ritorno a Scheria da Ithaca dopo l’accompagno di Odisseo, proseguendo con il minacciato rigonfiamento del Montarone per coprire la città dal mare (l’evidente soprelevazione del Montarone se visto dalla Scialara) cui si aggiunge il minacciato vomito di Poseidone di una stele sul fianco di Scheria (il Puzmume) per ammonire i Feaci, ma che in realtà si incontracon il bastione di pietra (il Puzmume) al quale per salvarsi si aggrappano sia Odisseo in balia delle onde, e sia come il bastione della terra d’Eracle usato da costui per salvarsi nelle narrazioni di Omero. Il Puzmume, come era chiamato dai Viestani di qualche tempo fa e sul quale c’è una poesia dialettale scritta intorno agli anni 1950 dal maestro Gaetano Delli Santi, è in realtà un bastione di pietra originato da circa 8 milioni di anni per l’erosione provocata dal mare e per il vento e le piogge. Il nome Puzmume deriva dalla fusione dei termini greci Pougx (leggi punxi): mergo, secondo il Rocci un uccello marino che è da identificare pure come un’uria da cui Uria per Vieste, ma il significato reale di bastioni marini si trova nella Baia dei Mergoli vicino Mattinata, o nel Monte Pucci di fronte a Peschici; il mume finale di Puzmume proviene dal greco momos. Momos è il dio greco della risata e della maldicenza che per questo viene cacciato dall’Olimpo e rappresentato con una maschera sul viso e con un bastone che percuoteva la terra, ma è anche il dio del biasimo e

[28] Diz. L. Rocci, v. epimisgo (epi-misgw) traduce l’intera frase: oyde tis ammi broton epimisgetai allos con: nè alcun altro dei mortali ha commercio con noi. I significati di epi-misgo sono: mi mescolo, ho relazioni, commercio; 2- ordinariamente passivo; tini, con qualcuno; b- frequento, vengo, vado. Mediamente: mischio.

della ammonizione, che viene impartita da Poseidone ai Feaci dopo l’accompagno di Odisseo da Scheria a Ithaca. U Puzmume, che in realtà è uno smisurato bastione della vergogna, o un corno esposto contro le malelingue di tutti i tempi, non è da confondere con il Pizzomunno che in realtà appartiene al Montarone in quanto Vieste. Il nome Pizzomunno riguarda la posizione geografica e la remota funzione politica, mitica, storica e religiosa ancora attuale di Vieste, considerata la metropoli (= città madre) del remoto mondo di Omero che ha come pizzo, angolo, atlante, capitale, Scheria. Le lunghe mura della città di Scheria, presenti in Vieste, sono state poeticamente edificate da Alcinoo, figlio di Nausitòo, nipote di Poseidone, marito di Areta e padre di Nausicàa, vergine che si incontra con Odisseo di fronte a un fiume, o ruscello, o corrente d’acqua sulla spiaggia di Scheria, ora Vieste.

Omero del porto dei Lestrigoni scrive: “Qui, e come entrammo nel bel porto, che roccia inaccessibile cinge, ininterrotta da una parte e dall’altra, e due promontori sporgenti, correndosi incontro sulla bocca s’avanzano, stretta è l’entrata; qui, dunque, gli altri tutti spinsero dentro le navi ben manovrabili e quelle nel porto profondo stavan legate vicine, che mai si gonfiava flutto là dentro, né grande né piccolo, ma v’era candida bonaccia“. La polla sorgentifera, o fiume, o corrente di questo porto viene da Omero chiamata Artachia. Il porto dei Lestrigoni che roccia inaccessibile cinge, con la bocca, da intendersi anche come punto di accesso all’Ellespono,e l’entrata stretta ela corrente di Artachia è quello più veritiero e corrispondente a tutta la remota località sia del Montarone, con i due promontori sporgenti che s’avanzano sulla bocca del mare, sia del Pantanella con l’aiuto della corrente Artachia, presente in òuròs da cui Uria per la città, sulla quale c’è stata la spinta di tutto l’equipaggio della nave di Odisseo.

Omero del porto dei Ciclopi, per sfuggire ai quali Nausitòo fonda Scheria, ora Vieste, scrive: “qui all’estrema punta una grotta vedemmo, sul mare .. qui un uomo aveva tana, un mostro, che greggi pasceva … un’isola piatta davanti al porto si stende … c’è un porto comodo, dove non c’è bisogno di fune, o di gettar l’ancora o di legarele gomene, ma basta approdare e restare a piacere, fino a che l’animo dei marinai non fa fretta o non spirino i venti. In capo al porto scorre acqua limpida, una sorgente sotto le grotte: pioppi crescono intorno”. Il mostro è Polifemo che poeticamente abitava nella grotta all’estrema punta, che è quella di (S.) Nicola che nel 1600 si trovava iuxta (adiacente il) mare[1]. L’isola piatta che si stende davanti al porto è lo stesso che in parte si trova sul poggio a fianco della Scuola Media Spalatro[2] sul quale ora spicca un traliccio telefonico, ma che ancora nel 1970 aveva origine dal fianco interno della collina del Carmine. Quest’isola piatta che con l’opposta Chianghe dell’Onne, Chianga (roccia levigata) dalle Onde, ora quasi del tutto divelta per fare posto a fabbricati, semichiudevano con una leggera sgambatura in buona parte l’entrata del Pantanella rendendo inaccessibile le onde del mare e quiete le sue acque interne. Oltre il riferimento del Giuliani, che afferma la presenza di una scogliera bassa sulla quale si infrangeva il mare situata sulla imboccatura del Pantanella, aggiungendo che “Donna Peppinella Mafrolla”, nota ai Viestani perchè, novella Poppea faceva il bagno nel latte, in quel sito possedeva il giardino detto “Chianghe de l’Onne”, cioè “il giardino della bassa scogliera delle onde”. Alcuni dicono che fosse chiamata così per il particolare terrazzamento che ricordava le onde del mare che fino al 1600 vi arrivava realmente. Tra questi due opposti poggi tuttora scorre (dal 1972 canalizzato sotto via Pertini e da data precedente (1955?) sotto via della Repubblica) la corrente di acqua buona del Pantanella che tuttora sfocia nell’angolo a monte del molo turistico, o molo di Ponente. La nave del furbo Odisseo non entra in questo porto, ma viene ormeggiata fuori, nelle vicinanze della grotta di (S.) Nicola, nel mare all’esterno alla Chianghe de l’Onne.

[29] Il Vescovo di Vieste Mascio Ferracuti.

[30] Il cui maggiore avvallamento è stato in parte riempito di terra tra la fine del 2021 inizio 2022.

Omero, dopo aver scritto che il porto di Itaca è sacro al signore del mare, il dio Forches, o Forchi, o Forco, la cui presenza è tuttora testimoniata dagli scogli marini, detti <i Forche>, ora italianizzato in Forti, situati sott’acqua a sei miglia a nord di Vieste, di questo porto di Itaca Omero aggiunge: “due punte s’avanzano e sporgendo a picco (i due corni del Montarone) proteggono la baia (del Pantanella), chiudendo fuori l’onde immani dei venti violenti e dentro senza ormeggio rimangono le navi buoni scalmi, quando alla fonda sian giunte. In capo alla baia c’è un ulivo frondoso, e li vicino un antro amabile, oscuro, sacro alle ninfe che si chiamano Naiadi (..) e vi sono acque perenni”, quelle della fonte che questa volta Omero per non essere ripetitivo chiama Aretusa. Inoltre Omero chiama questo porto con il nome Reithro, che dal greco reithron ha il significato di: corrente di fiume, fiumicello, torrente, come pure di: alveo, o letto (di mare presente nel greco aggeion di aggos del porto Aggasus di Plinio). Le acque perenni sono presenti nei ruscelli, o correnti viestane, a cominciare da quella del Pantanella e finire con quelle che continuano a urinare tuttora sui litorali di Vieste, un motivo presente nell’indeuropeo ur da cui deriva il nome di Uria e la sua definitiva inondazione insieme con la Troia di Omero. Vieste come “Porta della Gran Madre Terra. Acqua Sorgiva”, è presente su un’iscrizione messapica su pietra interpretata dal Petrone. Vieste come urinatrice di acqua viene indicata da Polibio, presente in Strabone, come “sorgente e madre del mare”. Nel 1907 il Beltramelli scrive di due lavandaie viestane che gli narrano della “formazione di un nido del mare sotto la montagna” chiamata Masuliane, nome di derivazione greca che da ma(ter)-solayno porta a una madre dei canali. Masuliane è una località vicina al Montarone che questa volta si mette nei panni dell’omerico Oceano, pure lui munito di corna, pensando che il mare si fosse formato dall’acqua, o urina, che sgorga dalle sorgenti di Uria, in riferimento alle correnti viestane che invece e secondo Omero venivano traboccate, cioè riempite oltre il loro orlo superiore, dalla forza di Oceano.

Infine Omero cita il porto dell’Isola Trinachia scrivendo di” un porto profondo con vicino (agk”) acqua dolce”, che data l’equivalenza dell’omerico agk” con anak diventa pure un porto profondo traboccato d’acqua dolce: un altro riferimento al Pantanella e alla sua corrente. Dell’isola di Trinachia si dirà ancora con il percorso di Odisseo.

L’Odissea comincia con un Concilio degli dèi convocato dalla dea Atena per deliberare il definitivo rientro a casa di Odisseo, ancora trattenuto per sette anni nell’isola Ogygia, in realtà sulla punta di un promontorio subito dopo riferita da Omero, dalla figlia di Atlante, Calypso. Il Concilio viene tenuto sulla cima più alta dei Monti dell’Olimpo, ora dato come monte tra la Macedonia e la Tessaglia, mentre si tratta in primo luogo del Monte Sacro, la punta più alta dei Monti del Gargano visibile da Vieste, sul quale ci sono ancora i resti di un grande e remoto tempio; in secondo luogo della collina della Chiesiola, essendo la chiesa un luogo di assemblea, o di adunanze, o di concili. Mentre Odisseo soffre pene a Ogigia, per avere notizie del padre da Nestore il figlio di Penelope e Odisseo, Telemaco, partito da Itaca si reca poeticamente prima alla sabbiosa Pilo, greco Pylos, da cui gli alleati degli Achei, o Argivi, detti Pili (Pyloi), ora data erroneamente come città della Trifilia nel Peloponneso sud occidentale dell’attuale Grecia, mentre si tratta di nomi di popoli derivanti dai corni bianchi del Montarone e della città aperta verso il mare e verso il punto di origine del Sole, quindi greca, presente nel nome Vieste. La sabbiosa Pylos, cioè la sabbiosa Porta, sta all’origine del nome Apulia: senza porta, sinonimo di aperta dell’omerica Apeira, come pure l’erodotiana Europa, vasta vista. Vieste come Porta della Gran Madre Terra. Acqua Sorgiva è presente in una iscrizione messapica su pietra interpretata, asetticamente, dal Petrone, e che va identificata nel toponimo e nella realtà della località viestana adiacente il porto naturale del Pantanella detta “La Gioia”, nome della Terra che deriva dal latino Gaia proveniente dal greco Gea, o Ge, da cui l’odierna Porta contenuta nell’omerica sabbiosa Pylos[1]. Il Petrone aggiunge Acqua Sorgiva, poiché dall’utero di questa Gran Madre Terra, o Gea, o Gaia, o Gioia, scaturisce l’urina, lo stesso di acqua, che in

[31]pyla, o pylè da cui pylòn = porta, portone, ingresso, vestibolo, atrio.

questo caso è l’unica di acqua buona da bere che ha origine (dall’utero di Gea) e che tuttora scorre nella località adiacente “la Gioia”, precisamente nel Pantanella. Questa corrente fluviale viene mitizzata con le altre sei tutte di acqua salmastra nel monumento del Timavo situato nell’isola abitata chiamata da Strabone col nome Teuthria, per il colore biancastro del calcareo Montarone, facente parte delle due Isole Diomedee, eroe omerico che dopo la sua morte viene sepolto sulla seconda isola, quella disabitata, da individuare esclusivamente con lo Scoglio viestano. A confortare ciò si evidenzia che in Pylo esiste un cantore anonimo, di cui scrive Omero. La funzione di Vieste come Porta della Gran Madre Terra costituisce un’ulteriore prova di una Troia fatta derivare anche dal fenicio turah: porta, iniziazione, poiché Vieste grazie alla sua identità anche con questa Pylo di Omero venne identificata come Porta della Gran Madre Terra dalla successiva letteratura che vale pure per Troia. Ma identità dovuta alla iniziale partecipazione dei tanti popoli sia greci e sia troiani alla guerra di Troia. In seguito alla quale tutti questi popoli, di cui ha fatto quasi totale incetta l’attuale Grecia dopo l’errato riconoscimento dell’Ellesponto di Omero con il Bosforo, secondo il racconto dell’Iliade vengono distrutti con le loro navi dopo tempeste marine provocate da Poseidone. Della funzione di Vieste come Porta della Gran Madre Terra scrive Seneca che testimonia come tutti i popoli italiani ed europei passarono da questa piccola città, definita pure un buco (in riferimento al Pantanella), chiamata Uria. A questo riguardo entra in causa lo Scoglio viestano che in tempi remoti veniva idealizzato come una culla, una nave e una tomba. La culla sta per la nascita sullo scoglio errante per mare di Apollo e Artemide partoriti da Latona perché sedotta da Zeus, come pure nascita degli eroi ecisti e capostipiti di tutti i popoli partecipanti alla guerra di Troia, cui si aggiunge la culla di tutti i popoli d’Italia e d’Europa di cui ha scritto Seneca. Una nave, già identificata come tale nel 1420 dal portolano Giovanni di Antonio da Uzzano quando scrive che davanti a Vieste c’è: “uno schollietto ebbasso chome una galea pare lontano”, nave che viene pietrificata e affondata con una manata di Poseidone davanti a Scheria; la stessa che è pure l’Arca di Noè, anche per le sue misure bibliche di lunghezza m 156, di larghezza m 25 e di altezza m 15, grosso modo equivalenti a quelle dello Scoglio, che dopo il diluvio (questa volta Universale) approda a Vieste fondandola come prima città della terra col nome  della moglie Vesta, morta al suo arrivo, di cui scrive il Giuliani; o la nave Argo di Giasone che finisce capovolta con la chiglia in su e sulla quale si erano imbarcati gli Argonauti che al loro approdo fondano la prima città della Terra di nome Lycosura. Una tomba, perché nave capovolta con la chiglia in su dentro la quale muore Giasone; luogo di sepoltura di Diomede sulla quale i suoi compagni tramutati in uccelli ancora si lamentano; cui si aggiunge Vesta, moglie di Noè, che dopo la sua morte fu seppellita sullo Scoglio. Oltre alcune iscrizioni, nella grotta presente su questo Scoglio ci sono dei loculi, Nel suo viaggio poetico Telemaco per avere notizie del padre, da Pilo si trasferisce da Menelao alla città concava, avvallata, luminosa Lacedèmone, ora data erroneamente come regione di Sparta, nell’attuale Grecia. Ma la concavità del porto del Pantanella, l’avvallamento e la luminosità di Lacedèmone sono da riferirsi sempre a Vieste il cui avvallamento è presente in E. Bacco quando scrive che Vieste: “Ha il suo territorio fertilissimo & ripartito dalla Natura in piani & colli con mirabile simetria“; il Giuliani quando scrive che Vieste: “Rimira (.) il libero orizzonte (.) ed a mezzogiorno e da selve, e da piani, e da colli e da monti che a poco a poco per lungo tratto s’innalzano“; Strabone[1] che, non essendo viestano, del Gargano scrive: “La terra è ben riparata perchè le sue pianure sono avvallate“; mentre sulla luminosità di Vieste il Giuliani aggiunge: “in niuna parte del giorno è priva de’ raggi solari”. Ciò anche perché nella poesia Menelao è fratello di Agamennone, re di Argo, cioè di Vieste che in seguito viene fondata da Diomede come Argos Hippion, città già identificata come Argiva per il bianco delle rupi del Montarone, dalle cui punte nascono gli Achei. Dalla forma e da quanto avviene intorno a questo Montarone Omero inventa il nome di Micene (mychenè), proveniente dal greco myche: muggito; presente nel muggito provocato dalle onde del mare che s’incavernano nelle lesioni presenti nella falesia viestana. La presenza di

acqua dolce nel Pantanella e la funzione del Montarone come Porta della Gran Madre Terra, che equivale a Vieste in quanto Pizzomunno, è un fatto che aiuta a identificare Vieste come la città di Pilo (Pulon = Porta), regno di Nestore, al quale Telemaco si rivolge per avere notizie del padre Odisseo, sia di Lacedemone (luminosa) governata da Menelao, fratello di Agamennone che invece governa Argo (bianca, quindi luminosa), un fatto che sottintende l’unitarietà dell’origine viestana di questi due fratelli. Ma c’è di più. Nestore è padre di Perseo che Omero individua anche come una stella facente parte di una costellazione che, secondo Circe, Odisseo avrebbe dovuto tenere sulla sinistra per evitare di scontrarsi con il Montarone. Perseo è uno degli autori di queste identità viestane poiché è colui che pietrifica sia il padre di Ogygia, Atlante, al quale Perseo aveva chiesto ospitalità, ma che per vendetta al diniego trasformò Atlante in un telamone, il Montarone; sia il figlio di Poseidone e della figlia di Minosse, Euriale detto pure Orione, che è l’autore del porto del Pantanella con la sua ultima pedata posta davanti all’Oceano. Una volta scorto da lontano Orione come una testa sul mare e su un punto indefinito, che su invito di Apollo, geloso dell’innamoramento verso Orione di sua sorella Artemide, la quale con una freccia uccide Orione involontariamente. Secondo un’altra versione Orione venne pietrificato dalla vista della testa della Medusa mostragli da Perseo, ragione per la quale la Testa del Monte Gargano come testa di Orione sul mare e come punto indefinito diventa un riferimento al Montarone e la ragione per la quale il Gargano venne identificato come Monte Orione. Perseo inoltre mostrò la testa della Medusa pietrificando sia Atlante, padre di Calipso; sia il re di Vieste col nome di Pilunno col significato di Porta, o Portone; sia il re di Vieste col nome di Portuno, che oltre il porto del Pantanella è da identificare come luogo di passaggio, o di una Porta, o di un Portone, da riferirsi sempre a Vieste come Porta della Gran Madre Terra, o Pizzomunno. Più tardi la luminosità di Lacedemone e di Argo si trasferisce nell’attuale nome del Gargano che da gar: per davvero; ganos: luminoso, diventa una montagna davvero luminosa, che si conserva nella sua attuale identità di Montagna del Sole, ma in riferimento al luminoso Montarone che secondo il Giuliani “in niuna parte del giorno è priva dei raggi solari”. Il nome Gargano ha sostituito l’omerico Gàrgaro che nasceva dai gargarismi che tuttora avvengono nei gargarozzi, o gole, che si trovano all’origine delle mitiche correnti, o ruscelli, viestani. A cominciare da quella di acqua dolce del Pantanella, proseguire con le altre sei di acqua salmastra per Strabone o le altre otto per Virgilio, e finire con le tre sorgenti presenti nella Necropoli della Salata proprio davanti alla spiaggia di Scialmarino. Dal Gargaro ha origine il nome di Gargaria attribuito da Aristotile all’Italia, nome che da I-tali(s) e per continuità indica una “isolata puella, o fanciulla, o promessa sposa” da identificare con Estia, o Vesta e poi con Oria in quanto tutte vergini mature ma mai sposate.

Tutto ciò viene confermato sia dalla presenza in Lacedemone anche di un altro anonimo cantore di cui scrive Omero. A Lacedemone avviene il racconto di Omero sulla formazione delle Rupi Ghiree, nome derivante dal greco gyros a sua volta proveniente dal verbo gyroò, tra cui anche il significato di “scavo attorno”. Cerchiatura di rupi presente nel costone dietro la Ripe viestana che è lo stesso dell’omerica rupe di forma semicircolare presente nel suo essere Ghiree, o Giree. Omero, infatti, riferisce che dopo l’accostamento di Aiace Oileo alle immani Rupi Ghiree da parte di Poseidone per salvarlo dalla morte, l’eroe omerico Aiace Oileo mentì a tutti dicendo che si era salvato da solo. Una bugia che una volta udita da Poseidone inferì un colpo di tridente sulla rupe Ghirea che si spezza in due. Una parte rimase al suo posto, l’altra cadde nel mare con sopra Aiace Oileo che morì annegato. In pratica l’omerica formazione della viestana falesia detta di Dietro la Ripe. Settanta anni fa questo scoglietto di forma cubica veniva più giustamente identificato come Pizzomunno dai compagni d’infanzia dello scrivente che abitavano in questa zona.

Nel prosieguo del viaggio in nave di Odisseo verso i Feaci, nome che, essendo Vieste già Scheria, nella fantasia di Omero nasce dalla luminosità dei corni viestani, In questo viaggio Odisseo incontra i Cìconi, popolo capeggiato da Eufemo, i quali eliminano sei compagni di Odisseo per ogni sua nave. I Cìconi vengono dati erroneamente come popolo leggendario della Tracia, ma la verità sta nel loro capo Eufemo, che ha dato il nome di (S.) Eufemia allo Scoglio viestano.

Poco dopo Odisseo e compagni incontrano i Mangiatori di Loto, cibo di fiori che una volta mangiati sono capaci di far dimenticare il ritorno in patria di tutti. Il loto è il sorbo degli uccelli detti dai Viestani <‘nganghele> che il Giuliani definisce <‘mbriachèlle> perché mangiati in quantità producono un leggero stato di ebbrezza, o di una leggera ubriacatura. Lo stato di ebbrezza dei Viestani è presente in methyo da cui i Methynnates ex Gargano di Plinio, nell’aestus presente nel loro essere Vestysane e alla loro andata in bestia da cui la città, o isola di Bestia per Vieste.

Ancora dopo Odisseo e compagni incontrano i Ciclopi, popolo vicino ai Cìconi, fatto che esclude l’erronea appartenenza di quest’ultimo popolo alla Tracia, anche perché il porto dei Ciclopi con l’isola piatta sul davanti, con la sorgente di acqua limpida al suo interno e il nome Reitro del porto è già stato già individuato con il porto del Pantanella. Nell’isola dei Ciclopi Odisseo e compagni incontrano e accecano Polifemo, figlio di Poseidone, che verosimilmente abitava nella grotta di (S.) Nicola, situata all’entrata del porto del Pantanella. L’isola dei Ciclopi, giganti monoculi e selvaggi che vivono lontani dal mondo civile per la qualcosa Nausitoo dopo esserne sfuggito fonda Scheria, ma che secondo la tradizione più diffusa è un luogo ora stimato, erroneamente, in Sicilia (per l’isola), mentre il porto dei Ciclopi è identico a tutti i porti dell’Odissea e del Pantanella.

Nel seguito del suo viaggio Odisseo racconta della galleggiante Isola di Eolia che per essere galleggiante non è l’indicata isola di Lipari, ma il ventoso Montarone viestano descritto dal Giuiani nel modo seguente: “In un tempo stesso, situata a guisa di una punta all’estrema falda de’ monti, vien dominata da contrari venti; e si osserva in tempo di bonaccia che le acque del mare portate sono in parte contraria, senza che s’impedischi fra loro il corso e la fluttuazione, per dividersi quivi i venti, e due venti spirano nel tempo stesso”. In effetti il Montarone visto dall’alto e da lontano nei giorni di mare calmo sembra galleggiare. Vieste come isola Eolia prende il nome da Eolo, il dio dei venti che secondo Omero consegnò a Odisseo un otre chiuso ripieno di venti, venendo nel suo poetico vagare per il mare in un secondo momento scacciato dallo stesso Eolo perché, durante una pausa di sonno di Odisseo, i suoi compagni trasgredirono le direttive di questo dio aprendo l’otre da cui fuoriuscirono tutti i venti, che lasciati liberi provocano marosi che tuttora tormentano i corni del Montarone.

Segue l’arrivo di Odisseo nel paese dei Lestrìgoni il cui porto con la sorgente Artachia all’interno è stato già identificato con tutti i porti dell’Odissea e con il Pantanella.Fino al momento del rifacimento della strada della Chiesiola nel 1974, quasi alla sua sommità si ergevano due massi arrotondati a forma di uovo che hanno presumibilmente ispirato Omero nell’incontro di Odisseo con i Lestrigoni che per colpire le navi e i suoi compagni precipitavano insieme con dei massi arrotondati dalla collina adiacente il loro porto (la Chiesiola e il Pantanella). L’omerica città dei Lestrigoni è Telèpilo, nome che significa “lontana Porta” che è da individuare con la lontana Porta della Gran Madre Terra. Acqua Sorgiva di Vieste che come lontana porta è all’origine del nome dell’Apulia, senza porta, cioè aperta, poi passato all’Italia e poi alla sola regione Puglia.

Una volta partiti dai Lestrigoni, Odisseo e pochi compagni giungono all’Isola Eèa di Circe, figlia del Sole e della figlia d’Oceano, Perse. L’isola Eèa è una “lingua di spiaggia” sulla quale la nave viene temporaneamente ammainata, Odisseo e compagni Incuriositi esplorano il territorio, venendosi a trovare di fronte a una casa di “pietre lisce” nella quale viveva Circe. Con le sue lusinghe la maga Circe riesce a convincere Odisseo a rimanere per qualche tempo e dietro la promessa del suo ritorno in patria. Odisseo e compagni trascinano la nave in una “grotta”piena d’acqua con l’aiuto di una corrente che ha tuttora origine all’interno di una grotta in località Catharella, nome greco che da catàrè significa: sorgente pura, essendo queste ultime due correnti un po’ meno salmastre di tutte le sei presenti nella Scialara. La Catharella, presente in una mappa del Gargano esposta nella Galleria degli Uffizi del Vaticano, è stata italianizzata dagli ignari Viestani come Gattarella. In seguito Circe trasforma in porci tutti i compagni di Odisseo, il quale dopo essere stato salvato da Atena con una bevanda, con Circe amoreggia per circa due anni. Negli ultimi tempi Odisseo pretende il ritorno in patria e Circe con lo scopo di non perdere questa occasione amorosa consiglia a Odisseo di recarsi al Regno dei Morti per interpellare il tebano Tiresia sulla sua sorte finale riguardante il suo ritorno a Itaca. Dopo la positiva risposta ottenuta da Tiresia, Odisseo ritorna da Circe con la pretesa che ai suoi compagni fossero restituite le sembianze umane. Dopo questo evento i suoi compagni fecero festa, ubriacandosi. Uno di loro, Elpenore, ubriaco salì sul giaciglio per dormire togliendo la scala. Il giorno successivo, non ricordando di averla tolta, Elpenore precipita rompendosi l’osso del collo e morendo senza che nessuno si fosse accorto di nulla. Tant’è vero che il giorno dopo Odisseo, meravigliato, incontra per prima l’anima di Elpenore nel Regno dei Morti. Per esaudire la preghiera di Elpenore, al ritorno Odisseo brucia e seppellisce i suoi resti là dove più sporge il “promontorio” piantando sul loculo un remo, per ricordare ai naviganti che per tutti esiste la fine della vita. Circe, che di fatto abita nell’isola Eèa, poi favoleggiata in oriente, un fatto vero, trovandosi nella parte del Mare Ionio a confine del Golfo Adriatico tra i quali inserire lo stretto braccio del largo mare che Omero chiama Ellesponto che di fatto divideva in due il suo Oceano. L’isola di Circe proviene dall’omerico greco nesos, che oltre l’isola indica anche un luogo isolato, o un isolato promontorio marino, o promontorio solitario come lo è il Montarone viestano. La fantasiosa isola Eèa di Circe viene, vivaddio, immaginata in Italia presso il monte Circeo. Dal seguito della poesia omerica avviene l’individuazione della precedente lingua di spiaggia con quella formata tra la settima e l’ottava corrente d’acqua presenti dietro la località viestana detta di Drète u Ponde, Dietro il Ponte. La sorgente dell’ottava corrente, ora detta Corrente Caruso, ha origine in una grotta in localtà Catharella, la stessa in cui viene spinta la nave di Odisseo. La casa di pietre lisce di Circe è da collegare al toponimo di Mattoni-Calcari presente in località Catharella, subito Dietro il Ponte. La punta del promontorio sul quale vengono seppelliti i resti di Elpenore è la Punta della Testa del Gargano, che non si farebbe male a dedicare a Elpenore, nome greco che dai significati di Elpe-nore diventerebbe il Capo di Vera Speranza. La viestanità di Circe proviene pure dalle leggende post omeriche secondo le quali questa maga ebbe da Odisseo due figli: Agrio e Latino. Latino è il capostipite dei Latini poi Romani, un modo come un altro per mettere alla pari Odisseo con la nascita di Roma da Enea e dal suocero di Diomede, Dauno, che dalla Vestale Rea Silvia ebbe due figli, Romolo e Remo.

Il viaggio di Odisseo seguita quando, per consiglio di Circe, nel Regno dei Morti avviene l’incontro con le anime dei morti. In pratica la Necropoli della Salata viestana, della cui identità si è già detto.

Segue l’arrivo della nave di Odisseo all’Isola delle Sirene, che è da individuare con l’isoletta di Lamicane, da cui nasce l’errata individuazione della località ad essa attigua, ora italianizzata come Lama le Canne. L’etimo greco lamia, oltre che mostro favoloso divoratore di fanciulli, o uno spauracchio, indica anche una sorta di vorace pesce marino o pesce cane. In pratica lamia, o lamiè, indica un mostro marino avente il volto di donna e la coda di pescecane. Il dialettale cane è la riduzione del verbo greco canakeo: rumore, strepito, suono, squillo come pure, trattandosi di sirene: gemito. Infatti dal greco canakeo nasce il latino cano-is: canto. Quindi Lamicane diventa una sirena che come mostro dal volto di donna e la coda di pescecane che canta che con queste fattezze appare lo scoglio visibile dalla spiaggia adiacente la settima corrente in adiacenza del quale c’è un’isoletta, che è quella sulla quale stavano poeticamente le Sirene. Per questo le omeriche sirene sono native di Vieste e presenti nel racconto del Beltramelli sulle sirene che rapiscono la bella fanciulla Yria, da riferirsi sempre al Montarone di Uria città, che viene da queste legata con una catena sul fondo del mare perché gelose dell’innamoramento con il bel pescatore viestano, cioè il sempre a caccia di fanciulle Zeus come pure Poseidone, che in questo caso si pietrifica: un fatto da riferirsi sempre al Montarone in quanto Pizzomunno, per l’attesa di rivivere il loro amore dopo cent’anni e in una notte di luna piena. In questo stesso episodio Omero aggiunge anche l’incontro della nave di Odisseo con un polmone marino, necessario per dare voce alle sirene, ma che in realtà è il predetto scoglio di Lamicane se visto dal mare e da verso la Punta della Testa del Gargano, che da questo lato si presenta con la forma di una gabbia toracica.

Odisseo e compagni nella prosecuzione del loro viaggio verso Scheria incontrano le Rupi Erranti, o Instabili, che sono da individuare con le “Murge Scuffelète” facenti parte del Montarone. Il viestano scuffelète si trova nel greco plagctos (leggi planctos): lesionate, cioè instabili come pure erranti, sensazione reale per chi si trova a Vieste guardando le Rupi viestane nelle giornate con la corrente del mare in leggero movimento. Un fatto che ha ispirato le Isole Erranti a Omero. Nella più grande lesionatura di queste Ripe riuscì a passare soltanto una nave marina, Argo, tornando dal regno d’Eèta. La nave Argo, che secondo Omero[1] tutti cantano, è quella dell’impresa degli Argonauti, tra i cui partecipanti vi sono, tra gli altri, uomini di nomi Ditti, Ida ed Eufemo. Eufemo ha dato il nome di (S.) Eufemia allo scoglio viestano. Ida prova l’esistenza del Santum Idalium di Catullo e del monte Ida ricco di vene da Omero situato vicino Troia, quindi vicino Vieste. Ditti, nipote di Zeus, è un pescatore, lo stesso mestiere di quello che si innamora della bella fanciulla Yria, da cui il nome omerico di Yria dato per lunghi secoli a Vieste. Dal greco ditto, che è lo stesso di disso, ha origine la vita dissoluta di Zeus, che nella grotta Dittea nell’isola di Creta (quella presente sullo Scoglio, per il viaggio in mare di Zeus), si accoppia con la vergine Europa che sulla spiaggia è stata ammaliata dalle sembianze di un toro assunta da Zeus (il Montarone) che dopo un viaggio nel mare (per raggiungere lo Scoglio) riassume le sembianze umane e seduce Europa nella grotta Dittea (sullo Scoglio), dando la vita a personaggi omerici quali Minosse, che Omero già situa a Creta, Radamante che come Minosse diventa giudice dei morti, mentre il terzo figlio, Sarpedonte, viene ucciso a Troia da Patroclo, compagno di Achille. L’isola di Creta non è l’attuale isola, ma un nome inventato da Omero ispirato dalla polvere bianca (= creta) di cui è composto il calcare del Montarone viestano. Oltre al cretese Minosse che diventa giudice dei morti nell’omerico Regno dei Morti, lo testimoniano alcuni fatti quali: le cento isole presenti sull’isola di Creta nell’Iliade e le novanta città presenti nell’Odissea, i monti coperti di neve e il mare fumoso di cui scrive Omero. Neanche a un dio dissoluto, come lo era Zeus, sarebbe venuta in mente l’idea di coprire la distanza a nuoto e con un peso sulla groppa per raggiungere l’attuale isola di Creta da una qualsiasi località europea. A questo si aggiunge la fondazione di Yria a Vieste da parte dei Cretesi guidati dal figlio di Minosse, Idomeneo; l’identità di Iapigi Messapi assunta dai Cretesi dopo la fondazione di Yria, poiché Ia-pyga mes-apia significa monade-troia centro (dell’) antichità, che riporta tutta la questione sempre a Vieste in quanto Troia. Ciò fa del racconto di Erodoto su Zeus ed Europa una delle tante versioni mitiche riguardanti il Montarone viestano da considerare in veste maschile (il bel pescatore) e veste femminile (la bella fanciulla Yria, in questo caso Europa) già presenti nella leggenda raccontata dai Viestani e riportata dal Beltramelli. Nella prosecuzione dell’Odissea e nelle previsioni di Circe, Odisseo dovrà incontrare due scogli vicini uno all’altro, “dall’uno potresti colpire l’altro di freccia”. Nel primo scoglio c’è la grotta di Scilla, ora data erroneamente sull’estremità della penisola calabra sulla quale è nata una località, o cittadina, di nome Scilla. L’omerica Scilla è un mostro con sei facce e sei bocche che prelevano e mangiano sei compagni di Odisseo, ma località omerica che lo scrivente ha identificato più giustamente con la viestana “Grotte i Trève”, Grotta delle Travi, delle quali in realtà non c’è nessuna traccia ma soltanto una spiaggetta ciottolosa di circa dieci metri di lunghezza, seguita da una grotta diventata nera in parte per il fumo generato dal fuoco acceso dai pescatori che si recavano con le loro piccole barche per attraccarle, da un’altra parte dai funghi generati dall’umidità perenne presente in questa grotta. La Grotte i Trève è situata sulla parte interna del corno di S. Francesco, ed è un nome che proviene dal greco treò: fuggire atterriti, cosa suggerita a Odisseo da

[33] Sugli Argonauti Omero ha scritto un inno.

Circe e che facevamo noi da adolescenti che una volta entrati venivamo spaventati da qualcuno più grande di età che dopo il grido al mostro! Spaventati, salivamo uno per volta, date le condizioni ancora attuali dello scoglio sul quale eravamo costretti a salire per fuggire letteralmente atterriti. Sul secondo scoglio c’è Cariddi, ora immaginata sul corno siciliano dove c’è la città di Messina, che di fatto non si trova alla distanza di un colpo di freccia con l’arco dichiarato da Circe, mentre è il crepaccio situato sull’altro corno del Montarone detto della Banchina, precisamente a “U Spacche de Rusenèlle”, il Crepaccio detto Spacco di Rosinella. Un nome di origine greca generato dalla fusione di spaò-rous, o roos-neleo col significato di “crepaccio con corrente marina con flusso e riflusso di ventre inesorabile, o che non perdona”. Ciò e dovuto alla conformazione di questo crepaccio che all’origine ha la forma di un imbuto aperto verso il mare e dopo il successivo stretto cunicolo, lungo circa m 10, c’è una grotta abbastanza ampia capace di deglutire l’acqua di diverse ondate, che però una volta raggiunto un volume d’acqua superiore a quella delle provenienti successive ondate, l’acqua marina che esce riattraversando il cunicolo con violenza dalla grotta permetteva a noi sfaccendati e curiosi adolescenti di vedere la sabbia sul fondo del mare, un particolare raccontato pure da Omero, e di udire gli spaventevoli grandi boati provenienti dallo svuotamento della grotta. Un fenomeno tuttora visibile in giornate di vento grecale malgrado la costruzione del molo foraneo recentemente attaccato al frontale Scoglio. Da questo spacco Odisseo si salva aggrappandosi al ramo di un fico selvatico che fino al 1960 ancora esisteva all’interno del cunicolo e precisamente sull’accesso della successiva grotta, dal quale Odisseo, nella fase di uscita delle acque con tutto il contenuto, si lancia sull’albero della nave riuscendo ad allontanarsi. Questo fico selvatico veniva di tanto in tanto tagliato da qualche viestano per farne legna da ardere, operazione che lo sfaccendato scrivente da adolescente ha avuto modo di assistere per ben due volte e in anni diversi intorno al 1955. Ma le cui radici furono in seguito e in parte rovinate con gli scavi per l’adiacente cava di pietre per pavimentare le strade e successivamente divelte per la creazione in quest’area di nuovi parcheggi per macchine a sinistra di questa grotta se guardata di fronte e a destra per barche marittime, anche di nuove. Parcheggi e grotta tuttora visibili insieme con i resti di una sovrastante minuscola necropoli. Nel seguito delle indicazioni di Circe, Odisseo giunge all’Isola Trinachia sulla quale pascolano le Vacche del Sole. Circe avverte Odisseo che se queste vacche fossero state toccate tutti i suoi compagni sarebbero morti, mentre lui sarebbe tornato a casa tardi e in cattive condizioni. In tempi post omerici l’isola Trinachia detta isola del Sole (per le Vacche) fu identificata erroneamente con la Sicilia, isola già presente con questo nome in Omero, ma che oltre la Sicania di Erodoto fu chiamata pure isola Trinacria (= tre angoli), che non è lo stesso di Trinachia (= tre punte). La realtà è che Trinachia proviene dalle due punte (Scilla e Cariddi) cui si aggiunge la terza meno pronunciata del Montarone viestano che si trova nel mare di “Sotte la Ripe”, Sotto la Rupe, quella definita Pizzomunno dai compagni dello scrivente residenti nella zona già citata a proposito delle Rupi Ghirèe, o quella residuata dal colpo di tridente inferto da Poseidone per far sprofondare Aiace Oileo. Quindi l’isola Trinachia è la tre puntuta penisoletta del Montarone soprattutto per quanto Omero più tardi aggiunge un “porto profondo vicino a un’acqua dolce”, o di “un porto profondo traboccato d’acqua dolce (secondo Omero dalla forza d’Oceano)” di cui si è già detto con i porti. Questa sorgente d’acqua dolce nasce all’interno del porto del Pantanella precisamente ai piedi della collina detta “Costa Martine”, Costa Martino, un poggio che si trova nelle vicinanze del “Puzze della Chiatà”, Pozzo della Chiatà, ora erroneamente diventato della Pietà. Per la usuale permutazione tra c e b questo pozzo veniva anticamente pure detto della Biatà. Chiatà è un nome proveniente dal greco cyathos: ciato, una coppa per attingere (acqua), tazza, concavità le cui acque superflue danno origine alla corrente tuttora viva all’interno del Pantanella. Il cyathos si integra con i significati di cytos: vaso, urna, coppa, bicchiere, ma anche carena, cavità, circuito, capacità, cavità della nave, stiva. Dal porto del Pantanella derivante da cytos ha origine il nome dei Viestani come il popolo biblico dei Cittei, identificati pure come Pugliesi, il cui Regno viene improvvisamente distrutto insieme alla loro capitale Tyro, quindi non più Cyta, altro nome di Vieste. Niente male poiché il nome Tiro (gr. turò) contiene le consonanti indeuropee tr indicanti rovina, che sono presenti in Troia. Omero cita Tyro come una vergine deflorata da Poseidone che aveva assunto le sembianze di un fiume, ma la cui rovina spiega quella di una Tyro, riportata dai profeti Ezechiele ed Isaia, la cui rovina è già avvenuta per Troia e per Atlantide di Platone[34] e di Erodoto[35].I profeti

[34] Platone. Storie, Crizia “Quel pelago allora era navigabile, da poi che un’isola aveva innanzi alla bocca (il Montarone, o l’isola piatta davanti al Pantanella con annessa la Chianghe de l’Onne), la quale chiamate Colonne d’Ercole (la Rupe, in viestano la Ripe) che per Omero e nella realtà pare levigata e che un mortale non poteva scalare neppure se avesse avuto 20 mani e 20 piedi con annesso il limotrofo Puzmume, cioè l’omerica stele vomitata da Poseidone sul fianco della città di Scheria; l’omerico bastione di pietra al quale si aggrappa Odisseo, poiché Platone scrive di Colonne d’Eracle, mentre Omero scrive di un bastione della terra d’Eracle usato pure da costui per salvarsi).Platone continua: “ed era l’isola più grande che la Libia e l’Asia insieme (cioè l’Europa).. donde era passaggio alle altre isole (ora Croate) .. a quelli che viaggiavano di quel tempo, e dalle isole (ora Croate) a tutto il continente che è a dirimpetto (l’omerica Tracia, ora Penisola Balcanica), che inghirlanda quel vero mare (l’Oceano, o il largo mare di Omero). E per fermo (Vieste, che con il nome greco di Estia, o Istia, da istemi è fondamento, statua, sisto, al pari di un telamone, di un atlante, di un bastione, di un pizzo di Pizzomunno) quel tanto mare (il Golfo Adriatico) che è dentro alla bocca della quale favelliamo (l’omerico Ellesponto) è un porto dall’entrata stretta a vedere (il Pantanella come capo dell’Ellesponto); ma quell’altro assai propriamente dire si può vero mare (il mare Ionio).Ora le Colonne d’Ercole vengono miticamente ed erroneamente indicati con i due monti di Abila e di Càlpe che Ercole avrebbe separato da un’unica montagna, per far comunicare il Mediterraneo con l’Oceano Atlantico. Ma, più realisticamente, la già considerata divisione di questi due mari a Vieste, oltre che in Omero che scrive di un naufrago (Odisseo) che non si sa se proveniente dalle genti orientali (eonion) o dalle genti occidentali (esperion), il cui mare era diviso in due dall’Ellesponto, la cui verità si trova nel geografo/matematico Tolomeo che scrive: “nel mare Ionio Salapia, Siponto, Apeneste 42,50,40, (la longitudine all’estremità del) Monte Gargano 42,20,41 (la longitudine alla base del Monte Gargano) e adiacente il mare Adriatico, Hyrium”. Nell’esame di Tolomeo Apeneste è da individuare come l’estremità, o punta orientale del Gargano, tant’è vero che Apeneste è stata individuata per buona eufonia dal Giuliani con Vieste, mentre altri confondono tuttora il Montarone come una vera isola di nome Apeneste. In realtà Apeneste potrebbe essere un nome creato dalla fusione dei termini greci apan(eithe): in disparte; este da eimi è: lo stare, che significa lo stare in disparte, o separatamente, o isolatamente, che si trova nella quasi isola del Montarone, come pure l’isolamento nel mare dei Feaci, di Scheria e della città di Vieste in tempi non lontani; Vieste è stata definita “la sperduta del Gargano” dal Gregorovius nel 1800 e dal Beltramelli nel 1907 che in realtà è stata una città depredata di un immenso patrimonio recuperato dallo scrivente dopo circa tre millenni; Hyrium è sempre Vieste in quanto città adiacente, all’origine, del Mare de Fore, il Mare di Fuori (mano, cioè di sinistra), il Golfo Adriatico. L’altruista Giuliani situa Hyrium in modo del tutto errato a Rodi Garganico, pur avendo sondato l’origine del nome di questa città dalla rugiada, detta in latino rore, nome tuttora pronunciato dai Viestani per identificare Rodi e roriani i Rodiani. Il vichese Del Viscio situa erroneamente Uria nel lago Varano tratto in inganno dalla buona eufonia di Uriano e Varano nel cui lago immagina sprofondata Uria. Platone continua: “Ora, in cotesta isola Atlantide (Il Montarone, poichè il sisto, l’atlante, l’angolo, il telamone, il pizzo di Pizzomunno sono sinonimi), venne su possanza di cotali re, grande e meravigliosa, che signoreggiavano in tutta l’isola (l’Italia in quanto ritenuta anticamente un’isola di forma triangolare!) e in molte altre isole e parti del continente (l’Apeira, o Atlantide, ora Europa); e di qua dallo stretto tenevano imperio sovra la Libia infino a Egitto, e sovra l’Europa (ridotta all’Italia) infino a Tirrenia (Tirrenia è l’Etruria, la Toscana)”. Lo stretto cui si riferisce Platone è lo stretto braccio del largo mare dell’Ellesponto che, secondo Omero, Achille, partendo dalla spiaggia troiana (ora Scialmarino) avrebbe percorso in tre giorni di navigazione verso l’Aurora, (verso l’Est, l’Oriente, il Greco) per tornare in patria a Ftia; o lo Stretto Ionico di Polibio oltre il quale c’è il Golfo Adriatico; o il Laurento di Livio che sul punto di arrivo (o di partenza) aggiunge: “Anche questo luogo è chiamato Troia“, dando prova di ignorare, come tutti finora, l’esistenza di Troia a Vieste; o la via luminosa, o la via senza via di Virgilio.

[35] Erodoto. Storie: “Sta vicino a questa montagnola un monte (il Montarone) che ha nome Atlante (da cui Atlantide per il Montarone in quanto Pizzomunno). E’ stretto e circolare (il Montarone) da ogni parte ed alto –a quanto si dice- tanto che le sue vette non si possono scorgere: giammai infatti le abbandonano le nubi né d’estate né d’inverno (lo stesso scrive Omero per la già citata Rupe del Montarone che nessun uomo avrebbe potuto scalare neanche con 20 piedi e 20 mani, con a fianco il monolite del Puzmume). Gli indigeni dicono che sia una colonna della volta celeste (Il Montarone con il Puzmume, cioè la stele vomitata, minacciata da Poseidone e quindi realizzata perché bastione di pietra usato da Eracle e Odisseo per salvarsi). Da questo monte (il Montarone) gli abitanti del paese han tratto il nome, si chiamano infatti Atlanti (cioè infaticabili, lo stesso di Vestani da ves = forza, quindi forzuti, atlante è lo stesso di angolo, di pizzo del Pizzomunno, come pure del telamone presente in atlante) (…) Dunque fino a questi Atlanti sono in grado di dire i nomi di quelli che abitano sull’altura (il Montarone), ma da questi in poi non più. Il ciglione (il Montarone, o l’orlo di italica spiaggia di Virgilio, o il pizzo di Pizzomunno) si estende in ogni modo fino alle colonne d’Eracle (che, invece di luoghi viestani, ora vengono erratamente situate sullo Stretto di Gibilterra), e anche oltre queste” (dove ora c’è l’Oceano Atlantico, che per significato di infaticabile è lo stesso di Adriatico, da adros, forte, nel quale Oceano tuttora si cerca, invano ed erratamente, il continente Atlantide, che è lo stesso del continente Europa (= vasta vista) in quanto tutti e due questi nomi di Continenti hanno origine da Vieste in quanto Pizzomunno, a cominciare dal Continente Apeira (= aperta, del tutto identico a vasta vista di Europa) con capitale Scheria di Omero.

36 Bibbia. Ezechiele: “Le tue città dipendenti su terra ferma periranno di spada. E conosceranno che sono io il Signore … Come mai sei distrutta e sparita dai mari tu, città famosa, che sul mare eri sì potente … Ora le isole tremano, nel giorno della tua caduta, e le isole del mare sono spaventate della tua fine … Chi era come Tiro (Troia, Scheria e Vieste che da turah è la Porta della Gran Madre Terra), divenuta ora muta in mezzo al mare? (come Scheria e i Montarone) … Farò cessare le tue armoniose canzoni, nè s’udrà più il suono delle tue cetre (cantate e suonate da Demodoco e Femio) …

Ezechiele[1] e Isaia[2] chiamano la capitale della terra in questione col nome Tyro, che oltre il tr di Troia, dal fenicio turah significa: porta, iniziazione, che fanno parte del passato di Vieste sia come città rovinata di Uria e Troia, sia come iniziazione o Porta della Gran Madre Terra, o Pizzomunno. La distruzione di una capitale all’estremità della terra con due nomi Cyta e Tyro equivale al dualismo esistito tra Uria e Troia, tutte città che come l’Atlantide di Platone vengono distrutte nel giro di una notte e un giorno dopo un’alluvione. Quindi nomi che come capitali riguardano l’antica funzione dell’omerica Scheria e la rovina di Troia valevole per Vieste in quanto Uria. Ma la cui rinascita nella veste di un Regno dell’Angoloculla, che per significato è la stessa di Atlantide e di Pizzomunno, viene profetizzata con la caduta di fatti madornali (angoulmoise), scambiata dai sapientoni con la caduta di un’asteroide, che si sarebbe dovuta verificare nell’anno 1999 settimo mese profetizzata nel 1500 da Nostradamus[3] per la qualcosa all’incirca a questa data allo scrivente è nata l’idea di scrivere l’ultimo dei libri. Scheria, che viene individuata erroneamente con Corfù con il benestare del commerciante di oro di seconda mano Schliemann, in quanto capitale del continente Apeira, mai trovato da nessuno ma che è da identificare con il platoniano continente Atlantide e con l’erodotiana Europa, sempre con origini viestane. La funzione di capitale di Scheria situata all’estremità di un continente è lo stesso di essere Vieste la Porta della Gran Madre Terra. Acqua Sorgiva, o di Vieste città Pizzo del Mondo, o Pizzomunno, da riferirsi al Montarone viestano con annesso il Pantanella con la sua acqua dolce.

Come mai sei distrutta e sparita dai mari, tu, città famosa (Troia, Scheria, Atlantide), che sul mare eri sì potente, coi tuoi navigatori, che incutevano spavento a quanti abitavano sul continente (Apeira, Europa e Atlantide) … si faranno ricerche di te ma nè ora nè poi non sarai più trovata (ora una falsità) … I popoli che ti conobbero, rimangono stupiti della tua scomparsa”. L’espressione: “E conosceranno che sono io il Signore”, e il resto indica che alla base della sparizione di Vieste c’è stata una lotta di religione tra i vari signori della città della distrutta Tiro e l’unico Signore Dio.

36 Bibbia. 22,6, 23,6. Isaia, nato il 768 a.C. ma data non attendibile perché identifica la Terra come un “globo” invece di una immensa pizza, in un “Preannuncio contro Tiro e Sidone”, già presenti in Omero, nella Bibbia scrive: “Urlate, navi da Tarsis, poiché tutto è distrutto: non ci sono più case, non c’è più accesso. Dall’isola di Cipro giunse loro la notizia … E anche con mare tempestoso il grano del Nilo dal fiume, ti arrivava; essa era il mercato delle nazioni … Quando l’Egitto riceverà la notizia, rimarrà costernato a sentire il messaggio della caduta di Tiro. Passate a Tarsis e urlate, abitanti della spiaggia. E questa la vostra festosa città, che vanta origini lontane (Vieste), i cui piedi la portarono lontana (Scheria per Vieste) per stabilirvisi? Chi ha decretato tali cose contro Tiro, la coronata (di rupi e di mura di Scheria e del Montarone), i cui mercanti erano principi e i suoi negozianti grandi della terra? … Coltiva la terra, o figlia di Tarsis, il tuo posto più non esiste. Il Signore ha steso la sua mano sul mare per abbattere i regni; ha dato ordini contro Canaan per distruggere le sue fortezze. E ha detto: <non sarai più nella gioia vergine disonorata figlia di Sidone! (un riferimento   all’omerica donna grande e bella nativa di Sidone che porta con sè Eumeo quando viene rapita e sedotta dai Fenici e che poi viene uccisa da Artemide. Donna che diventa Io per Erodoto e poi Iside per gli egiziani. L’omerica Tiro è una vergine sedotta da Poseidone. Qui Sidone e Tiro sono città fenicie) Sorgi, passa in Cipro, ma anche lì non avrai riposo. 37 Bibbia. Isaia: “Ecco la terra da lui fondata per marinai, che ne costruirono le torri e la circondarono di bastioni, (un riferimento a Scheria e al Montarone) egli ne ha fatto un mucchio di rovine … Prendi la cetra, fa il giro della città, cortigiana dimenticata, canta con arte, moltiplica le canzoni, (cetra e canzoni degli omerici Demodoco e Femio) affinchè si ricordino di te … il Signore visiterà Tiro ed essa riavrà di nuovo i suoi guadagni e trafficherà con tutti i regni della terra, su tutta la superficie del globo … Dall’estremità della terra (Scheria come Atlante e Vieste come Pizzomunno) sentiamo questo canto: Gloria al Giusto. Ma io ho detto: <sono annientato, sono annientato, guai a me.

38 Nostradamus nella quartina X. 72, scrive: “L’an mil neuf cent nonant neuf sept mois,/ Du ciel viendrà vn gran Rov d’effrayeur./   Resusciter  le grand Roy d’Angolmois,/ Auant apres Mars regner par bonheur.”, che tradotto alla lettera significa: “L’anno millenovecentonovantanove settimo mese/ Dall’alto verrà (quindi una previsione!) un grande ciclo di fatti madornali/ risuscitare il Regno dell’Angoloculla/ dopo una girata (auant apres) di polemiche (Mars sta per Marte, quindi una battaglia inevitabile!) regnare per buona pace di tutti”. Il Regno d’Angolmoise: angoloculla, è lo stesso del Regno di Atlantide di Platone in quanto l’angolo è sinonimo di atlante ed entrambi da riferire a Vieste in quanto Pizzomunno poiché atlante e angolo sono a loro volta sinonimi di pizzo, del mondo, funzione effettiva di Vieste che col nome di Scheria è la città madre, o capitale, del mai da nessun’altro trovato, perché del tutto scomparso, continente Apeira di Omero. La venuta dal cielo di un grande ciclo di fatti madornali non è certamente riferita alla caduta di un’asteroide che, stando alla errata interpretazione di quanto scritto da Nostradamus, sarebbe dovuto cadere il settimo mese del 1999. Un fatto che ha tenuto in apprensione tutti gli abitanti del pianeta per cinque secoli, mentre per la cronaca, verso la fine del 1999 lo scrivente ha iniziato a scrivere il suo terzo libro.

Per tornare a Omero e all’isola di Trinachia va detto che la grotta profonda del suo porto in cui viene spostata la nave di Odisseo si trovava su una punta interna del Pantanella, forse quella esistente sotto un fabbricato recentemente demolito per far posto alla chiesa di Gesù Buon Pastore, o di qualche altra grotta naturale presente nel Pantanella.In questa grotta la nave di Odisseo viene ancorata dopo essere stata spinta, con l’ausilio della corrente d’acqua dolce di Trinachia. Prima della realizzazione di case a prezzo agevolato (Legge 167) realizzati in questa ormai divenuta vallata del Pantanella, insabbiata con lavori di riempimento artificiale durato sei anni, precisamente dal 6 Settembre 1868 al 5 Giugno 1874, per la sopravvenuta putrefazione delle acque interne di questo porto ricordata dal Perrone[1]. Un porto remotamente decantato che si era trasformato in una palude un po’ per i marosi, per i venti e per le piogge. Ma ancora di più per i bradisismi negativi verificatisi fortemente negli anni 1000 e 1027 con l’innalzamento della costa pugliese e molisana, e bradisismi che tuttora persistono per l’avvicinamento della penisola italiana a quella che Omero chiama Tracia, tanto che nell’anno 1000 pure il porto naturale di Brindisi si insabbiò. A prova della funzione di Vieste come unità di luogo, di tempo e di azione dei poemi di Omero c’è che nelle leggende post omeriche riguardanti due personaggi dell’Iliade in cui Podalirio è un medico e Calcante un indovino poi identificato come greco, ma della Magna Grecia. In periodo post omerico il medico Podalirio viene destinato ad attingere acqua con un secchio (il cytos, il ciato, come pure il cyathos) le cui acque raccolte dal pozzo della Chyatà venivano da costui regalate ai cittadini, poi fino a intorno il 1955 vendute in Vieste da alcuni acquaioli. Ricevuta l’acqua dal ciato, o dal chyatos, usato da Podalirio per riempire le otri, le acquaiole di turno per ricompensa gettavano una moneta in una fessura naturale di roccia. Precisamente quella dove è stata successivamente edificata una minuscola costruzione di mq 4 di lato ora identificata come chiesetta della Chiatà, in riferimento al pozzo della Chiatà riveniente dal cyathos, ma ora erroneamente detta chiesetta della Pietà. Invece, per il suo compito di indicare la giusta direzione alla strada da seguire ai popoli che emigravano da Vieste, l’indovino Calcante si trovava in alto e in una costruzione, le tracce delle cui fondamenta di circa mezzo metro d’altezza e di circa mq 5 di lato si trovavano quasi sulla sommità della collina della Chiesiola ancora fino al 1974, poi interamente sommersi dai detriti rivenienti dallo scavo della sovrastante roccia per dare una più giusta pendenza alla Strada vicinale della Chiesiola, ora comunale via Saragat. Il toponimo Chiesiola, cioè piccolo luogo di assemblea, o di concilio, dice tutto sulla medievale santificazione di ciò che era visibile, anche se nell’immediata adiacenza delle suddette fondamenta lo scrivente trovò casualmente un’ampollina di terracotta, in viestano detta greta, alta circa cm 8, che venne distrutta da un gatto domestico penetrato in casa. Le sedi di Calcante e Podalirio vengono opportunamente situate da Strabone su una collina della Daunia, nome che parte da Vieste derivante sia come sposa dormiente, poichè già Estia, poi Vesta, ma anche di fanciulla di nome Oria, che non avevano alcuna intenzione di trovare marito; sia come patria del mitico Dauno, suocero di Diomede, tutti di origine viestana proprio come il suo inventore Omero. Per questo i Monti Dauni appartengono al Gargano non a quelli del subappennino. Qualcosa di più su Vieste la dice Omero quando identifica la città di nascita di Eumeo, Sirìa, ora isola favolosa, situata dov’è il calar del Sole, sotto Ortigia, ora luogo indeterminato ma identificata come antico nome di Delo. In realtà Sirìa è anche un luogo di passaggio di Odisseo che viene da Omero presentato con sopra un altare in onore dei nativi viestani Apollo e Artemide, ma che ora viene identificata erroneamente come una piccola isola dell’Egeo. Omero scrive che in Sirìa ci sono due borghi, sui quali tutto era diviso in parti uguali e tenuta sotto controllo dal padre di Eumeo, il re Ctèsio Ormenide. Eumeo racconta che un giorno arrivarono a Sirìa i famosi navigatori Fenici che approfittarono di una donna grande e bella, ma soprattutto una ladra, che a sua volta diceva di essere nata ricca a Sidone che con Tiro, località entrambi presenti in Isaia, vengono date come città della Fenicia che a sua volta viene ora indicata come regione del Mediterraneo orientale. Tyro, di cui si è detto in qualità di capitale dei Cittei, e Sidone, città omerica di ricamatrici,sono pure

località ingannevoli citate da Odisseo che in un primo tempo non voleva farsi riconoscere da Eumeo. Da Sidone questa grande e bella donna venne rapita dai pirati di Tafo e poi venduta al re di Sirìa, il padre di Eumeo. Dietro la promessa a questa donna di un suo ritorno in patria da parte dei Fenici, già noti in Omero, ma in seguito identificati come naviganti e commercianti che frequentavano i mari greci, ma non si sa se quelli della attuale Grecia, nazione che ha fatto incetta di tutto il patrimonio omerico, o quelli della Magna Grecia. Omero racconta che a Siria tutti si misero a rubare e quando la nave fu piena di refurtiva, la donna si fece seguire pensando di rapire, riuscendoci, il figlio del re della città, Eumeo, col quale raggiunsero un porto bellissimo dove la nave era stata ancorata (il Pantanella). Dopo sei giorni di navigazione la viestana dea Artemide uccide questa donna che venne buttata in mare e i Fenici, spinti dal vento e dal mare, giunsero a Itaca, quindi a Vieste, dove Eumeo fu comprato da Laerte. La prova che Sirìa, situata da Omero dov’è il calar del Sole, come la vicina Ortigia, detta isola delle quaglie, siano sempre Vieste lo si deduce da quanto scrive il Giuliani[1]: “nel mese di maggio colle reti alla punta dello scoglio, e ben anche dalle finestre delle case che riguardano il mare, si fa la caccia alle quaglie”. Vieste, oltre che meta delle duplici transvolate dei volatili sul mare, ora Adriatico, agevolate dalla presenza delle intermedie isole di Meleda, Lagosta (La Cazza) e Pelagosa, era pure il luogo di approdo e di successivo discaccio di tutti i popoli indeuropei e dell’Asia Minore che divennero Italiani ed Europei, un fatto risultante da Seneca e da Strabone[2] che a sua insaputa in Italia scrive in gran parte la storia di Vieste. Di più si ricava da Siria come città di nascita della Siritide[3], regione italica[4] la cui identità viene provata daStrabone[5] quando nomina i fiumi navigabili Aciris e Siris sul quale ultimo sorgeva la città troiana di Siris. Troiana perché città della Colchide. La Colchide viene ora individuata miticamente ed erroneamente come regione dell’Asia dove si custodiva il Vello d’oro, per recuperare il quale Giàsone organizzò la spedizione degli Argonauti. La Colchide, che per Strabone[6] è lo stesso di Troade, trasse miticamente il nome dalla sua capitale Colco che, a parte la spedizione degli Argonauti sulla nave Argo di cui si è in parte già riferito con i Murge Scuffelète come le omeriche Rupi Erranti, invece prende il nome dal greco colchis: vergine, che è da identificare principalmente con la sempre vergine dea Estia in quanto primitivo nome di Vieste. Anche perché nel mito la nave Argo, i cui 52 argonauti sono personaggi omerici, finì capovolta con la chiglia in su, da cui la sua identità con lo Scoglio viestano, e Giasone fu trovato dai pescatori morto sotto la nave, ucciso da una plancia che si era staccata da essa. Una volta evidenziato ciò, l’ubicazione di questa Siris, per Omero Sìria, fondata dai Colofoni, viene provata dal greco colofon: cima, fastigio, colonna, compimento, termine, che li fanno diventare Viestani perché sisto di Istiani o Estiani, telamone di Atlanti, abitanti della città Pizzomunno già Porta della Gran Madre Terra. Ma c’è di più perché i Colofoni sostituirono il nome della Colchide con Siritide nel 680 a.C., una vicenda che, oltre l’identità viestana dei Colofoni nel buio pesto di un Omero viestano, viene tuttora

39 V. Giuliani. Ivi, pag. 51.”e le anatre e le folaghe vedonsi anche nei convicini  laghi di Pantano  (ora località Pantano presso il poggio di Merino, ora disseccato) e Pantanino (il Pantanella già ridotto a un piccolo lago)”, entrambi pescosi.

40 Strabone scrive che “Sirìa è quella stessa città dalla quale i Locri Nàricii fuggono per scampare all’assedio dei nuovi sbarcati Lidi che poi diventano Etruschi”. L’Etruria, dal greco eteros-uria è l’altra (parte), il confine, di Uria. Secondo Platone l’Etruria come Tirrenia era tenuto sotto l’imperio di Atlantide città, cioè di Vieste.

41 Strabone. Italia. VI. 1,4: “Il nome di Italia così come quello degli Enotri si estese fino al territorio del Metaponto e alla Siritide”.

42 Strabone. Italia, ed. Bur, VI.I,14 nota 75: “Tra l’Agri e il Sinni” e 76: “Da quanto scrive Strabone sembra che Siris sorgesse sul mare, alla foce del Sinni. L’archeologia testimonia però l’esistenza di un abitato arcaico sulla collina dove poi sorse Eraclea. La questione della identificazione di Siris, assai dibattuta, è ancora non del tutto chiarita.  La città, fondata dai Colofoni intorno al 680 a.C., fu distrutta da una coalizione fra le città achee (Sibari, Crotone, Metaponto) verso la metà del VI sec. a.C.”.

43 Strabone. Italia. I,14. “Vengono poi Eraclea, città poco distante dal mare, e i due fiumi navigabili, l’Aciris e i Siris, sul quale ultimo sorgeva la città troiana detta anch’essa Siris (.) Siris divenne il porto degli Eracleoti (.) Alcuni affermano che Siris e Sibari sul Traente furono fondate dai Rodii (…) questi Ioni, infatti, vennero ad abitare qui per sfuggire al dominio dei Lidi (Etruschi) e si impadronirono della città che allora era dei Coni, dando ad essa (Atena Iliaca) il nome di Polieion”.

44 Strabone. VI.1,14: “Infatti a Roma, a Lavinium, a Luceria così come nella Siritide, Atena viene chiamata <Iliaca>, come se fosse giunta lì da Ilio”. Ilio è Troia.

molto dibattuta e non ancora del tutto chiarita. Ma che trova la definitiva ubicazione di Siria e la nascita della Siritide a Vieste perché il suo Montarone sorge sul mare sullo stesso parallelo sul quale il giorno del solstizio d’Estate nasce il Sole che verso mezzogiorno raggiunge Vieste, stessa posizione omerica di Troia, che inizia il suo tramonto subito dopo averla varcata, da cui l’omerico calare del Sole di Siria e di Ortigia per Vieste. Infatti Strabone afferma che Siris e Sibari sul Traente furono fondate dai Rodii che difatti al loro sbarco fondarono Vieste col nome Rhodia e sotto i quali, come scrive il Bacco, i Vestani furono molto potenti nel mare. La soluzione finale dell’enigma arriva dal fiume Traente, che in realtà è la correzione degli editori dell’originale nome Teuthrantos che anche come possibile ecista di Sibari[1] ha un rapporto diretto con quella Teuthria ricordata da Strabone come l’isola Diomedea abitata. Ciò lascia intuire che l’isola abitata delle due Isole Diomedee chiamata Teuthria[2] sia la stessa città-isola da cui nasce il Teuthrante Diomede[3], che nella poesia omerica parte, naviga, combatte e infine muore mentre stava scavando un canale per rendere il Montarone una vera isola, venendo seppellito sulla isoletta disabitata delle due Isole Diomedee, lo Scoglio. Ciò rivela le tracce della colonizzazione viestana della piana di Sibari, cui aggiungere Siris l’omerica Sìria, perché entrambi affacciate sul mare ed edificate sul fiume Teuthrantos, cioè sul mare e sulla corrente del Pantanella, quindi il Montarone sul quale c’è Vieste. Nelle sue Storie Erodoto rielabora il racconto di Omero, dando a questa donna grande e bella, nativa di Sidone, il nome Io che viene rapita dai pirati Fenici, gli stessi che giunsero a Itaca, o Vieste, città che come Sìria, è fatta da due borghi che si trovavano sui due corni del Montarone sui quali, secondo Omero, tutto era ripartito in parti uguali.Da Io, altra personificazione di Vieste probabilmente derivato dall’abbreviazione del greco e omerico eonion, cioè orientale, da cui nasce questa Io e il Mare Ionio, mare che Eschilo chiama seno di Rea[4], la Terra, figlia di Crono, il Cielo e di Gea, la Terra, che si trova nella località viestana la Gioia. Il mare Ionio che insieme con il Golfo Adriatico di fatto nascevano da Vieste, già città omerica come limite, o confine, o sentiero di questo largo mare detto Ellesponto. Secondo Erodoto la vergine Io, sedotta da Zeus, per allontanarsi dalla vendetta di Era che si era accorta del tradimento del marito e di avere individuato la rea nella vergine Io, la quale per evitare la sua vendetta percorse tutto il mare giungendo in Egitto dove diventò Iside, che finisce con l’essere venerata dai Romani in sostituzione di Venere che in precedenza aveva sostituito Vesta. A Vieste c’è tuttora l’orologio solare realizzato dai Fenici.

Partito con la nave dalla Catharella sede di Circe, Odisseo e compagni giungono all’Isola Trinachia, o delle Vacche del Sole, che per Circe sono da evitare, ma sbarco effettuato in un porto profondo con vicino un’acqua dolce, o traboccato d’acqua dolce, spingendo la nave con l’aiuto di questa corrente in una grotta profonda da situare sempre nel Pantanella. Dopo un mese di vento di Scirocco ed esaurite le scorte di cibo, Euriloco, all’insaputa dell’addormentato Odisseo, invita i compagni a dare la caccia alle Vacche del Sole da immolare anche in onore degli dèi che, però, una volta uccise causò la morte di tutti i compagni di Odisseo e la distruzione dell’ultima nave a disposizione per una folgore lanciata da Zeus. Sui resti di questa nave si adagiò Odisseo che da da Trinachia (il Pantanella) fu costretto a tornare verso Cariddi, il crepaccio (Spacche de Rusenèlle) dove si salva attaccandosi al fico. In seguito Odisseo, attaccato ai residui della nave si ridirige verso Scilla, (la Grotte i Trève) mostro marino che fortunatamente non si accorse di nulla.

45 Strabone. Italia, ediz. Bur, VI.I,14, nota 77: “Il nome Traente deriva da una correzione degli editori. I codici riportano Teuthrantos, che potrebbe essere il nome di un precedente ecista di Sibari”.

46 Sull’isola abitata Teuthria c’è il Timavo, costituito da sette correnti d’acqua salmastra di cui una sola di acqua buona da identificare con il fiume Teuthrantos in sostituzione di Traente come specifico riferimento alla corrente del Pantanella.  

47 Teuthrantos proviene in prima ipotesi dal nome di un omerico acheo Teuthrante, compagno di Odisseo che fu il primo a pugnalare Ettore una volta catturato da Achille. Una volta appurata Vieste come unità di luogo, di tempo e di azione dei poemi omerici, in seconda ipotesi e dall’omerico troiano Teutra, che viveva nella divina Arisbe sul fiume Sellèento, il cui figlio Assilo venne ucciso da Diomede.

Dopo nove giorni in mare Odisseo giunge all’Isola Ogygia di Calipso dove Odisseo viene trattenuto per sette anni, in realtà in una caverna viestana situata “Sotte u Ponde”: Sotto il Ponte, la cui entrata, secondo Omero, si eleva fino alla sommità della collina ai piedi della quale sgorgano quattro sorgenti d’acqua che non riescono a scorrere normalmente verso il mare. Isola di Ogigia che più tardi Omero precisa come estremità di un promontorio marino, al cui fianco c’è tuttora uno scoglio isolato. Su questo scoglio Odisseo era solito sedersi per versare largo pianto dovuto alla dura pena da lui sofferta per essere tenuto in ostaggio da Calipso. Su questo scoglio Odisseo viene trovato piangente dal messaggero Ermete che gli comunica la favorevole delibera degli dèi. Anche se più tardi Omero scrive di grotta profonda, un fatto ancora reale se alla caverna di Calipso si aggiunge una grotta profonda che si trova proprio sulla punta del promontorio del Ponte e di fronte allo scoglio sul quale Odisseo versava largo pianto. La caverna dell’isola Ogigia si presentava ancora nel 1975 con le quattro sorgenti descritte da Omero. L’isola Ogigia viene ora data all’estremo occidente anche se si trova poco distante dalla casa di Circe, trovandosi di fatto nella opposta cavità viestana di Sotto il Ponte. Ciò prima di tutto perché l’esistenza di un ponte in questa zona non esiste neppure nella più pallida idea. In secondo luogo, quello più vero, è che il viestano “ponde”, ponte, proviene dal greco ponèto: pena, che è quella sofferta da Odisseo di cui scrive Omero. La punta di questo promontorio marino appare come “La Pena” in due mappe del 1600, quella del Magini e quella di Johannes Blaeu. Qui Odisseo costruisce la sua zattera.

Una volta partito, Odisseo percorre la rotta consigliata dalla ninfa Calypso che suggerisce a Odisseo di tenere alla sua sinistra la costellazione dell’Orsa Maggiore (da cui la posizione di estremo occidente di Ogigia), giungendo dopo altre peripezie e dopo l’incontro con un bastione di pietra (il Puzmume) al quale si aggrappa Odisseo prima di raggiungere a nuoto, tormentato dall’ultima ondata di Poseidone, la prima delle sei correnti della Scialara, precisamente in località “Scanzatore”. Scanzatore è un toponimo formato da tre etimi greci: scanao = scene: palcoscenico; za = dia: per mezzo; tore abbreviazione di tore(uo): fo sentire ad alta voce, che complessivamente portano a un “palcoscenico per mezzo del quale farsi sentire a voce alta”. Cioè al luogo omerico in cui le ancelle e Nausica si fanno sentire, gridando a voce alta dall’esausto e sonnolento Odisseo dopo la caduta accidentale della palla in questa prima delle sei correnti della Scialara con cui tutte le ancelle giocavano in attesa che i panni appena lavati e stesi sulla spiaggia si asciugassero. Un’usanza che a Vieste è durata fino al 1955. Dalla Scanzatore Odisseo giunge a Scheria, della cui identità con Vieste si è già detto. A Scheria c’è un cantore cieco da Omero chiamato Demodoco, nome greco che significa il “venerato dal popolo”, la cui dichiarata cecità è dovuta a esigenze sceniche, ma da non attribuire a Omero.

Partito da Scheria e raggiunta Ithaca, ora Vieste per i fatti suesposti, Odisseo trova un cantore che si dichiara figlio di Terpio, di nome Femio, che secondo lo scrivente più che un cantore è parte dell’identità di Omero, che scrive dell’Isola di Itaca e di una città bene in vista situata sulla punta di un promontorio, qual’è il messo in bella evidenza Montarone visto da una qualsiasi parte. Le vicende di Odisseo a Itaca risolvono tutti i problemi in un fabbricato avente una sala, ovviamente la stessa di Scheria, con un altare dedicato a Zeus, cui segue un adiacente cortile e la casa reale. Cioè il Megaron presente in Vieste nella Cattedrale con a fianco dell’entrata principale un cortile e la casa dei regnanti, ora abitazione in parte rifatta dopo il terremoto del 1646, del Vescovo di turno. Su una facciata laterale di questa Cattedrale c’è ancora Zeus, sia sottoforma di un putto, da cui Zeus Dodoneo, o Zeus bambino, sia di un’aquila che rappresenta Zeus adulto. Il resto di questa antichità viene confermato dalle sculture sui capitelli delle colonne interne alla Cattedrale cui va aggiunta la presenza di un orologio solare, quello edificato dai Fenici, che si trova sulla facciata principale adiacente il cortile e che uno studioso viestano[1]  fa risalire al 2800 a. C.. I pretendenti alla mano di Penelope vengono chiamati Achei, nome ispirato a Omero dalle punte del Montarone.

Infine Omero scrive che Odisseo in compagnia di suo figlio Telemaco, delbovaro Filezioe del porcaio Eumeo decidono di andare a trovare Laerte, padre di Odisseo. Durante il viaggio a piedi giunsero alle correnti d’Oceano e alla Rupe Bianca e alle Porte del Sole, tra il popolo dei Sogni e subito vicino il Prato Asfodelo, che è lo stesso dell’altrettanto omerica Pianura Elisia e che tutte insieme rappresentano la stessa piana della Troia di Omero, per arrivare al Regno dei Morti. In pratica giungono al viestano Piano della Battaglia detto pure Piano Grande, anche nel senso di Antico, al cui margine marittimo c’è la Necropoli della Salata, del tutto uguale alle descrizioni di Omero per le sorgenti e per la finale corrente che sfocia nel mare. Regno dei Morti in cui Minosse, già segnalato in Creta, ha la funzione di giudice, ma che questa volta viene situato a poca distanza da Itaca dato il percorso a piedi di Odisseo, Telemaco, Eumeo e Filezio, che qui riescono ad avere notizia di alcuni eroi morti in seguito alla guerra di Troia, tra i quali Agamennone che venne ucciso dal Egisto, amante di sua moglie, ad integrazione di quelli già incontrati in questo Regno dei Morti, cioè sempre la Necropoli della Salata, già visitata da Odisseo su invito di Circe.

Questa è l’ultima prova che i libri dello scrivente raccontano la verità sulla gloriosa, remota, greca città di Vieste come patria del più grande, fantastico e geniale poeta di tutti i tempi e del Mondo chiamato Omero, un normale uomo viestano, certamente vedente, dotato di ingegno e fantasia del quale si erano perse le tracce, ma che sono state ritrovate a distanza di circa 3000 anni dallo scrivente, soltanto perché viestano a contatto con la realtà dei luoghi omerici. Lo scrivente ha dimostrato anche con queste succinte relazioni inviate per la prima volta al Sindaco e alla Giunta municipale di Vieste per chiedere legittimamente aiuto per la pubblicazione del suo terzo libro che, come i due precedenti, riguarda la storia incredibile, ma vera, della remota città di Vieste: figlia dell’Oriente e non di una storia qualsiasi, per la qualcosa chiede anche un personale riconoscimento per questa sua straordinaria e veritiera scoperta che potrebbe arricchire in tutti i sensi e ancora di più la nostra amata Vieste.

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